Il 10 luglio 1998 (ben 24 anni fa!) arrivai, per la prima volta, a Santiago de Compostela, celebre meta di pellegrini fin dal Medioevo. Realizzavo, così, uno dei miei sogni nel cassetto che, dai tempi dell’Università, mi frullavano per il cervello.
Con tre amiche di Torino il 29 giugno, appena terminati gli esami di terza media dove ero presidente di commissione, partimmo alla volta di questa avventura che, a distanza di tanti anni, è ancora vivissima nella mia mente e nel mio cuore.
Prima il viaggio in aereo, poi in treno fino a Burgos con visita, obbligatoria per una prof di italiano e storia, alla tomba del Cid Campeador; poi, da lì, l’inizio del pellegrinaggio a piedi per Santiago. Percorremmo una ottantina di chilometri per andare a salutare un amico che era hospitalero a San Nicola, il rifugio degli italiani, poi ci spostammo a Ponferrada, città mineraria: da lì non utilizzammo altri mezzi di trasporto che non fossero le nostre gambe.
Il Cebreiro con la chiesa di Santa Maria dove avvenne un miracolo eucaristico, Samos, monastero benedettino con una facciata simile a quella della cattedrale di Santiago, Leboreiro, dove dormimmo su tavolacci perché il rifugio era stato vandalizzato e, infine, il Monte Gozo con l’altare eretto per la Giornata mondiale della Gioventù dove San Giovanni Paolo II aveva celebrato.
Quando vidi all’orizzonte Santiago, piansi di gioia perché ce l’avevo fatta, senza dover ricorrere a medici per le vesciche ai piedi, che sono la consuetudine per i pellegrini.
A Santiago ci recammo subito in cattedrale per la Messa dei Pellegrini.
Il Vangelo era quello della domenica appena passata: Il buon samaritano.
Poi il botafumeiro in azione: turibolo alto 4 metri azionato da 8 uomini che spande incenso, anche per coprire gli odori che ognuno porta con sé dal lungo cammino.
L’altro ricordo è il trovare asciugamani puliti dopo la doccia…
Da allora sono tornata a Santiago altre tre volte: nel 2008 per festeggiare il decennale, nel 2010 perché Anno Santo Compostelano e infine nel 2019, ripercorrendo una tratta percorsa la prima volta. Tutto cambiato! Tutto commerciale!
Allora andavi avanti magari per venti chilometri senza trovare un chiosco per un caffè.
Ora i chioschi sono nati come funghi, ovunque trovi i “sellos”, ovvero i timbri per documentare il tuo passaggio.
Ma il “camino” ha sempre il suo fascino e io prego per tornarci ancora una volta.
Vorrei andare alla tomba di San Giacomo partendo però da Finisterre, là dove c’è solo oceano.
Magari l’anno prossimo, però forse non farò più la “pura”, cioè mi farò portare lo zaino…
Per la cronaca, degli altri due sogni uno solo si è realizzato, e anche più di una volta: la Fontainemore-Oropa.
Il Tibet e i suoi monasteri attendono.
Franca Sarasso