(Graziella Cortese)
Siamo nuovamente di fronte a un film in un bianco e nero elegante e raffinato, come “Belfast” di Kenneth Branagh, ma qui il regista Mike Mills effettua una ricerca più emotiva e legata ai sentimenti. In fondo è di nuovo la storia di un adulto e un bambino: anche i protagonisti, oltre a essere molto bravi, creano un’empatia più intima con gli spettatori.
Stati Uniti, oggi. Johnny è un giornalista radiofonico di cinquant’anni, è esperto di documentari ed ora si occupa di inchieste e interviste nel mondo dei bambini e degli adolescenti, si informa sulla loro idea di futuro e sui loro pensieri.
La sorella Viv deve recarsi a Oakland in fretta poiché il marito Paul sta male: soffre di una malattia mentale e di una grave forma depressiva, quindi ora ha bisogno di lei. Viv allora chiede a Johnny se può occuparsi del loro figliolo Jesse per un po’ di tempo: il ragazzino ha nove anni, è un tipo sveglio anche se a volte un po’ petulante.
Le interviste che il giornalista registra in giro per la città sono notevoli e aprono orizzonti insperati sul mondo visto dai più giovani… Ma non sono nulla rispetto al dialogo con il nipote Jesse! Le parole diventano torrenti in piena e Johnny inizia a fare un po’ di fatica a trattenere il ragazzino e contemporaneamente a dedicarsi al suo lavoro.
La pellicola rappresenta anche un viaggio a tappe nell’America contemporanea: così vediamo Los Angeles, Detroit, New York, New Orleans, che sono i luoghi a cui appartiene Johnny.
Joaquin Phoenix ha dismesso i panni del cattivo Jocker (per cui ha vinto l’Oscar) per trasformarsi in un uomo alle prese con i problemi dei genitori di tutto il mondo, anzi con i problemi di essere un perfetto zio.
La sceneggiatura e le immagini in bianco e nero ci rimandano un messaggio, più o meno condivisibile: “È alle madri che tocca rendere il mondo sicuro e a colori”.