Il dibattito al Senato sulla politica estera è coinciso con il “giorno X” della telefonata Trump-Putin sul nuovo “ordine mondiale”. Sui due fronti i risultati sono apparsi modesti. Stati Uniti e Russia hanno concordato per l’Ucraina una mezza tregua, limitata alle centrali e alle infrastrutture, con le bombe di Mosca che continuano a colpire le città ucraine; ma nulla hanno detto sull’altra tregua svanita a Gaza, con l’avallo di Trump alla ripresa della guerra da parte di Israele. La nuova Yalta immaginata dai due Presidenti sembra dar ragione a chi la considera una proposta di spartizione, con l’egemonia russa sull’Europa e il dominio Gerusalemme-Washington su Gaza e Palestina (anche con deportazioni delle popolazioni).
In questo contesto di svolta epocale la politica italiana è apparsa smarrita, racchiusa in se stessa, interessata soprattutto a lenire le ferite interne dopo le rotture emerse, nel governo e nell’opposizione, sul voto a Strasburgo sul piano von der Leyen per la difesa e il riarmo europeo.
Nel documento della maggioranza è sparito ogni riferimento al piano von der Leyen (cui FdI e FI avevano detto sì, la Lega no); la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per acconsentire a Salvini, ha elogiato le scelte di Trump per l’Ucraina (che escludono completamente l’Unione Europea e Kiev dalla trattativa) e ha mantenuto una linea dubbiosa sui dazi USA che colpiscono anche l’UE. In altre parole il governo, senza rompere con Bruxelles come Orban, ha spostato il baricentro politico italiano verso gli Stati Uniti, mettendo in secondo piano l’europeismo convinto di Forza Italia, appartenente ai Popolari della Merkel.
Nei fatti a Bruxelles si rafforza l’asse franco-tedesco a favore di Kiev, sostenuto anche dal nuovo approccio europeista del premier inglese Starmer.
Roma appare nella UE in netta minoranza: ed anche il futuro premier tedesco, il popolare Merz, ha indicato una linea opposta al “primato americano” di Trump. Berlino condivide i timori della von der Leyen sul possibile declino europeo dopo la rottura della Nato, tesi condivisa anche dall’ex premier Mario Draghi che – diversamente dalla Meloni – auspica una difesa europea (come proponeva De Gasperi) e contesta radicalmente la guerra commerciale avviata dagli USA con il rialzo dei dazi.
Sul fronte dell’opposizione, dopo la spaccatura (11 a 10) degli eurodeputati a Strasburgo, il Pd ha definito una linea comune al Senato: la Schlein ha ottenuto una radicale critica alla linea von der Leyen (mantenendo il collegamento con il no di Pentastellati e AVS), i riformisti hanno strappato l’adesione al principio di difesa europea. Resta una posizione difforme da quella dei socialisti europei: a Roma anche l’opposizione si distacca dalla maggioranza che governa Bruxelles (Popolari, Socialisti, Liberali). Resta una domanda essenziale: in caso di elezioni anticipate quale sarebbe la proposta di politica europea del “campo largo”, vista anche la scelta pro-Bruxelles dei Centristi?
L’Italia, che ha dato all’Europa la spinta fondatrice di De Gasperi e Spinelli, la guida di Bruxelles con Romano Prodi e della BCE con Mario Draghi, rischia di perdere il treno europeo, dopo anni di spinte sovraniste e populiste. Hanno colto questo rischio le 50mila persone che hanno partecipato alla manifestazione promossa dall’editorialista de “la Repubblica” Michele Serra, con l’obiettivo di rilanciare i valori e l’eredità etico culturale del Vecchio Continente. Un compito non facile se i partiti, pur di difendere questo bipolarismo azzoppato, preferiscono gli accordi di potere a chiare e oggettive proposte programmatiche. Votare contro Strasburgo sui temi essenziali e poi riunirsi a Roma, senza chiarimenti, è una linea che non convince la pubblica opinione.
Un’annotazione infine sulla vicenda ucraina che emerge dalla posizione della Santa Sede, espressa dal Segretario di Stato, il card. Pietro Parolin: una pace giusta e duratura, una trattativa senza pre-condizioni.
In altre parole: una forte sollecitazione per la fine della guerra, una soluzione accettata da entrambe le parti, per evitate una tregua fragile come a Gaza. Durante la crisi dei missili a Cuba, la Santa Sede chiese un passo indietro sia a Kruscev sia a Kennedy. Oggi la “pace americana” non può consistere nella resa di Kiev: non reggerebbe.