Questo passo si presenta facile e difficile insieme da commentare: facile perché Gesù stesso commenta un brano biblico; difficile proprio perché, essendoci già il commento di Gesù, viene da chiedersi che mai possiamo aggiungere.

Qui troviamo un dottore della Legge che fa a Gesù quella domanda che tutti vorremmo farGli, o che almeno io da bambino sognavo di farGli: “Cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”.

La risposta di Gesù è una contro domanda: “Cosa leggi?”. Gesù, coerente con la rivelazione, non si comporta come chi debba aggiungere, si limita a chiedergli che cosa legga nelle Scritture. Il dottore della legge dà la più bella risposta che potrebbe dare: cita il Deuteronomio, anzi il cuore del Deuteronomio e di tutta la religione ebraica, lo shema. La preghiera dello Shema ogni pio ebreo la ripete più volte al giorno, coprendosi gli occhi, ancora oggi, ed è il sunto del monoteismo di Israele. Shema è una parola ebraica che sta per “ascolta”: a questa invocazione segue il comando di amare Dio con cuore e anima.

Ricordiamoci che in Ebraico il cuore (levav) rappresenta il cuore dei sentimenti, e l’anima (nefesh) rappresenta l’essenza vitale, l’uomo in quanto essere vivente. Queste parole sono un’immagine molto forte e concreta per dire: Ama Dio in tutta la tua essenza.

L’ordine di amare il Signore (Adonay) è subito legato a un altro comandamento del Deuteronomio: ama il prossimo. Gesù stesso chiarisce che questi due comandamenti sono il cuore della Legge.

Nulla da eccepire dunque al nostro dottore della legge, ma egli non è soddisfatto: “Chi è il mio prossimo?”. Davanti alla Legge, nella sua perfezione quasi lirica ma astratta, l’uomo spesso dice: “Bene, ma nel concreto?”. Dimenticarci della Scrittura perché “troppo irraggiungibile” è uno dei più grandi rischi che corriamo: pensare che siano solo parole, bellissime certo, ma in fondo impraticabili. Dunque, dopo averle udite, rimaniamo con la domanda: “Ma quindi cosa devo fare?”.

La risposta di Gesù è forte: Gesù risponde coi fatti, e propone un caso concreto in cui quelle parole astratte possono concretizzarsi. L’eroe del racconto, se così lo si può chiamare, è la persona che meno ci si aspetterebbe: non un Levita né un sacerdote, ma un samaritano. In questa risposta di Gesù possiamo cogliere due cose: la prima è la risposta alla domanda, un modello concreto da seguire per amare il prossimo; la seconda, più sottile, è il superamento dell’esclusivismo della religione d’Israele.

un giovane della diocesi

Lc 10,25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?».
Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?».
Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso».
Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre.
Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».