“E voi, chi dite che io sia?”
(Elisa Moro)
“Tu sei il Cristo… Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc. 8, 29. 35): l’evangelista Marco apre con questa pericope (Mc. 8, 27-35), un dialogo tra Gesù e i discepoli, la seconda parte del suo Vangelo, che si propone di rivelare progressivamente la messianicità del Cristo, fino al suo pieno culmine nel mistero della Croce e nel riconoscimento del centurione: “veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc. 15, 39).
“Voi, chi dite che io sia?” (v. 29). La domanda è radicale, interpella il credente di ogni epoca sulla qualità della fede; “ciascuno di noi deve lasciarsi toccare personalmente dalla domanda: E tu, che dici: chi sono io? Tu che senti parlare di me, rispondi: cosa sono io veramente per te?” (Giovanni Paolo II, 7/01/1987).
Nessuna altra domanda che l’uomo possa pensare, ricorda Don Giussani, “è più grave, più grande e più decisiva di questa; tutta la vita dipende dalla risposta a questa domanda: se egli sia esistito come uomo qualsiasi, o se egli esista come uomo-Dio” (Avvenire, 14/03/1982).
La risposta a questa domanda – quella istintiva di Pietro, che costituisce la direzione del cammino – racchiude la risposta di fede di ogni cristiano e può scaturire solo da un autentico rapporto di vicinanza a Gesù: “la fede – infatti – non dà solo alcune informazioni sull’identità di Cristo, bensì suppone un rapporto di vicinanza con Lui, l’adesione di tutta la persona, con la propria intelligenza, volontà e sentimenti alla manifestazione di Dio” (Benedetto XVI, Madrid, 21/08/2011).
“Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (v. 33): al primo annuncio della Passione, è nuovamente Pietro a rispondere, ma immediatamente viene rimproverato dal Maestro, che lo conduce su un nuovo stile di pensiero: “i miei pensieri” quelli di Dio, “non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is. 55, 8).
Questa ammonizione del Signore dovrebbe spingere a riflettere, usando le parole di San Basilio, che “nessun male deriva dal Buono, da Dio”, per cui occorre “cessare di correggere il Signore, anche quando ci sfuggono le sue singole disposizioni” (Om. 7, 31, 345). Non è certamente un atteggiamento di “lasciarsi vivere” o di fatalismo quello che il cristiano è chiamato ad vivere, ma una crescita costante nell’essere “pietra”, rapporto reale e solido con il Verbo incarnato; “la tua pietra è la fede: se sarai una pietra, starai dentro la Chiesa, perché la Chiesa sta sopra la pietra” (Ambrogio, Ex. Evangelii Luc. VI, 97-99).