(Elisa Moro)

“Porta l’annunzio della mia risurrezione a quelli che non l’hanno vista; attira la terra intera” ((San Basilio Seleucia. In sanctum Pascha, 2-4). L’odierna Domenica – fin dall’antichità definita “in albis deponendis” a motivo della veste battesimale che era tolta ai neofiti – vede come protagonista la figura dell’Apostolo Tommaso (Gv. 20, 11-31). Questa pagina giovannea permette di addentrarsi in una riflessione sul senso della fede, basata su un reale incontro, “attraverso un contatto intimo e profondo, con la Sua stessa Persona” (Guardini, la Pasqua, p.49).

“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me anche io mando voi” (v. 21): è questa la missione che Cristo risorto, nel tempo che la Chiesa definisce della “conversatio”, affida agli Apostoli, gli “inviati” all’annuncio della novità della Pasqua. Egli manda gli Undici a “tutte le nazioni” (Mt 28, 19), “in tutto il mondo” (Mc. 16, 15) e “fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8), ma questa missione, come ricordava Papa Benedetto XVI, “continua”, è viva ancora oggi nella Chiesa, poiché “prosegue sempre il mandato del Signore di riunire i popoli nell’unità del suo amore” (Udienza, 22/03/2006).

L’evangelizzazione non conosce confini, come afferma l’Evangelii Gaudium, che rimarca
l’urgenza della missione: “oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi … e tutti siamo chiamati, fedeli al modello del Maestro, ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura” (n. 20-23).

“Mio Signore e mio Dio!” (v.28): con Tommaso, è chiesto ad ogni fedele di rinnovare la professione di fede in Cristo risorto. Ciascuno infatti può essere tentato dall’incredulità di Tommaso: “il dolore, il male – specialmente quando colpiscono innocenti – non mettono forse a dura prova la nostra fede?” (Benedetto XVI, 8/4/2007).

Eppure è proprio da questo vacillare, che si può purificare la fede da ogni falsa concezione di Dio, per vederne il volto autentico: quello di Colui che che si è “caricato delle nostre sofferenze” (Is. 53, 4) e che permette di vincere la morte dalle sue stesse piaghe (cfr. 1Pt. 2, 24).

Beata incredulità, dunque, quella di Tommaso! Essa rende ancora più capaci di testimoniare con rinnovato slancio: “l’incredulità ha giovato a noi molto più che non la fede degli altri discepoli; il discepolo che ha dubitato è divenuto testimone della verità della risurrezione” (San Gregorio Magno, Om. 26).

Gv 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo.
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.