IV DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A)
(f.z.) L’evangelista Matteo incentra questo episodio sul concepimento verginale di Maria e, allo stesso tempo, sulle qualità del suo promesso sposo, il giusto Giuseppe. Nella Storia della Salvezza la Madre di Gesù svolge un ruolo fondamentale, ma anche il suo coniuge, pur nel nascondimento, ha delle eccezionali caratteristiche di santità.
Questo rapporto è stato colto perfettamente, quasi fotografato, da Dante Alighieri nel XXXIII Canto del Paradiso. La celeberrima preghiera di San Bernardo alla Vergine (versi 1-39), che ha la forza e la coesione di una poesia autonoma, pare completamente dedicata alla Madonna “umile e alta più che creatura”, ma contiene un bellissimo omaggio a colui che si prese cura del Salvatore.
L’affascinante osservazione di un filologo fa notare che le lettere iniziali di 5 terzine di quest’ultimo canto della Commedia formano l’acrostico IOSEP e contengono parole di lode che possono essere attribuite a entrambi i genitori della Santa Famiglia. “In te misericordia, in te pietate, / in te magnificenza, in te s’aduna / quantunque in creatura è di bontate” è scritto nella prima (versi 18-20) ed evidentemente la misericordia, la pietà e la generosità sono caratteristiche mariane, ma anche di San Giuseppe, così come è vero che in loro si trova la sintesi di quanto vi è di buono nelle altre creature.
Seguono le terzine: “Or questi, che da l’infima lacuna / de l’universo infin qui ha vedute / le vite spiritali ad una ad una, / supplica a te, per grazia, di virtute / tanto, che possa con li occhi levarsi / più alto verso l’ultima salute”. Questi versi sono riferiti a Dante, che nel suo cammino allegorico rappresenta l’intera umanità: dalle profondità dell’inferno alle altezze del Paradiso, e per mezzo di una speciale grazia verso la salvezza finale: con l’aiuto di Maria, certo, ma con la virtù (virile) di Giuseppe.
E infine, gli endecasillabi che chiudono l’acrostico: “E io, che mai per mio veder non arsi / più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi / ti porgo, e priego che non sieno scarsi, / perché tu ogne nube li disleghi / di sua mortalità co’ prieghi tuoi, / sì che ’l sommo piacer li si dispieghi”. Qui San Bernardo eleva alta la sua supplica, insistendo sul concetto di preghiera, affinché il Poeta sia liberato da ogni ombra residua di mortalità: si può pensare che Dante abbia voluto invocare, in qualche modo, anche il protettore della buona morte, secondo l’antica tradizione cristiana.
Il compimento del progetto di Dio in Gesù passa dunque attraverso la Madre, con l’ausilio decisivo dello sposo che, ispirato dall’Angelo, scelse di tenerla con sé.
(Mt 1,18-24) Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.