XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Sei invidioso perché io sono buono?
(Elisa Moro)
Nella parabola del Vangelo Gesù paragona il Regno a un padrone di casa che chiama operai per la sua vigna “all’alba”, “alle nove”, “a mezzogiorno”, “alle tre” e, infine “alle cinque del pomeriggio”. Questa è sicuramente una delle dimostrazioni più esplicative dell’agire di Dio nei confronti dell’uomo: è un Padrone i cui “pensieri sovrastano i pensieri” (Is. 55, 9) della logica umana, che non si abbatte nel cercare e chiamare, valorizzando ciascuno; è un Padre, che non reputa nessuno inutile, ma che ha premura di accogliere tutti nella Chiesa stessa.
Emergono allora due linee guida da questo testo così denso.
Una prima riflessione scaturisce proprio dal tempo, dimensione dominante in questo brano evangelico. Leggendo un articolo del sociologo Gasparini, l’autore sottolinea come “la velocità, il dinamismo”, spaziale e temporale, sia “uno dei tratti-chiave e degli aspetti più caratteristici delle società industrializzate”.
Al contempo, tuttavia, si assiste ad una sorta di apatia pervasiva, specialmente nei giovani e rispetto alle tematiche spirituali, che produce un ozio e un disinteresse di fondo. Come ricorda Sant’Alfonso: “Dirà qualcuno: Io che male faccio se perdo il mio tempo?” e riprende: “ogni tempo, che non è speso per Dio, è tempo perduto”.
Occorre allora riaccendere il desiderio, attraverso la consapevolezza che Dio chiama nell’Oggi a fare il bene; Egli non rimprovera gli operai dell’ultima ora, ma chiede solamente di rispondere all’urgenza dell’invito.
La seconda considerazione nasce invece da una delle domande: “tu sei invidioso perché io sono buono?” (Mt. 20, 15). La parabola urta contro il consueto modo di giudicare: sembra che il padrone della vigna abbia fatto un’ingiustizia retribuendo allo stesso modo gli operai. Tale racconto però insegna che la ricompensa di Dio è un dono, è “grazia”.
L’ammonizione del Signore è verso il più brutto dei vizi, quello di “cui l’anima si tormenta del bene dell’altro” (Sant’Agostino, Disc. 353), l’invidia, che nasce dall’idea di non essere amati a sufficienza e si arriva fino “all’odio, alla gioia causata dalla sventura del prossimo e al dispiacere causato dalla sua fortuna” (San Gregorio Magno).
Ciascuno è allora chiamato a vivere secondo la grazia ricevuta, mettendo a servizio degli altri (1 Pt 4,10) i doni che Lui ha elargito nella Suo infinito amore.
Servire il Signore qui in terra è anticipare il regnare con Lui in Cielo: Dio non ha bisogno di noi; ma, per un mistero della Sua misericordia, Egli si vuole servire delle creature per compiere le Sue meraviglie.