Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano
(Elisa Moro)
“Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti” (Gv. 6, 11). Inizia il “discorso di Cafarnao” contenuto all’interno del Vangelo di Giovanni e che, in questa domenica, prende avvio dal noto episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Gv. 6, 1 – 15). Il Signore “scende dal luogo ove stava e, con compassione profonda, va incontro alle sofferenze del mondo” (Girolamo, In Matth, II 14), sale sul monte, simbolo e anticipazione del Calvario, ma anche della rivelazione divina, e invita la folla, con le parole della sapienza biblica, ad accostarsi al Suo banchetto, consapevole che: “quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete” (Sir 24,20).
“Che cos’è questo per tanta gente?” (v. 9): Andrea, fratello di Simon Pietro, definito “protocleto” (primo chiamato) dalla Chiesa d’Oriente, razionalmente si domanda come sia possibile sfamare una folla di “cinquemila uomini” con le sole forze umane. Cristo non si ferma al bisogno materiale, che è certamente necessario; conosce il cuore dell’uomo, sa che “è affamato di qualcosa di più, che ha bisogno di qualcosa di più” (Gesù di Nazaret, p. 311).
La domanda permette però di immedesimarsi nell’atteggiamento dell’Apostolo, che non si reputa all’altezza della situazione, sentendosi inadatto, fino ad interrogarsi: “come posso, con i miei limiti, aiutare il Signore nella Sua missione?” (Benedetto XVI, 26/07/2009). Il Signore chiede di avere fiducia in Lui, non di contare sulle proprie deboli forze, ma di lasciarsi plasmare, per diventare “uomini e di donne totalmente spregiudicati nella missione, capaci di raccogliere la sfida attuale dell’evangelizzazione” (Giussani, Ciò che abbiamo, p. 128).
“Dopo aver reso grazie, li distribuì” (v. 11); l’Evangelista sottolinea la benedizione operata sui pani: il verbo è eucharistein, lo stesso adoperato per l’Ultima Cena. Cristo, vero pane, è, per usare un’espressione di Solov’ev: “ciò che i cristiani hanno di più caro”.
L’uomo di ogni epoca, ma specialmente quello di oggi, è affamato, e spesso, ciò che sembra fornire una soddisfazione all’esistenza si configura come effimero; la vera fame è di verità, di amore, di pace, di bellezza, ma, soprattutto, di Dio. Con il cuore traboccante di gratitudine, diventando “eucaristici” nel mondo, non si può che esclamare, ogni giorno, con Sant’Agostino: “famelici Dei esse debemus! – Dobbiamo essere affamati di Dio!” (Enarrat. in Ps. 146, 17).