IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita

(Matteo Temperino)

In questa domenica, quarta di Quaresima, il richiamo della Pasqua, mèta conclusiva del nostro cammino, comincia a farsi sempre più vivo; dopo aver affrontato il grande “vuoto” del deserto, la “rivelazione” della divinità di Cristo mediante la sua trasfigurazione, il “riorientamento” della nostra azione mediante la conversione della nostra coscienza, l’evangelista Luca, in una delle sue pagine più toccanti, ci chiama, questa domenica, alla “riconciliazione” col Padre.

È la prima occasione in cui, come elemento su cui riflettere, ci venga offerta una “parabola”, ossia un racconto che, pur dandosi come allegorico, e con specifici fini didattici, fa vibrare le nostre corde unicamente per la peculiarità del suo contenuto di trattare vicende profondamente umane. È insomma un vangelo la cui forza consiste del suo darsi “a misura d’uomo”, che ci fa scoprire Dio, unicamente “a posteriori”; diversamente dalle volte precedenti non dobbiamo infatti confrontarci né con un “desiderio di trascendenza”, né con una “divinità che si discopre”, né con un “destino” che ci tocca subire, ma con qualcosa che è pienamente alla nostra portata: un atto d’amore nei confronti del prossimo.

È solo in seguito ad aver letto la storia di un padre che perdona e accoglie presso di sé un figlio che lo ha rinnegato, che riusciamo a cogliere come in tale atto non solo vi sia Dio, ma che Dio sia la fonte dalla quale quello stesso amore scaturisce, e del quale sia Egli stesso costituito. Ecco dunque che vediamo nel padre, “Il Padre”, e nel figlio, l’uomo che, come scrive Paolo, mediante Cristo “si è lasciato” riconciliare con Dio.

Come però non si è potuto fare a meno di notare, la conseguenza di un’azione di tale calibro, agli occhi degli altri (è infatti il caso del fratello maggiore), può risultare totalmente priva di qualsiasi fondamento razionale, a tal punto da sollevare nell’animo di qualsiasi uomo, non solo una buona dose di “dubbio”, ma anche un sentimento di “sospetto “, che genera a sua volta risentimento, invidia, sdegno. L’amore, che in tal caso si traduce propriamente in Carità, è infatti, oltre che “ineffabile”, anche “incommensurabile”, non è computabile attraverso alcuna categoria, non ha scopi, né limiti, né prezzi, ma è puro, infinito e gratuito.

Lasciandovi pertanto ad affrontare questa grande “prova d’umanità”, non senza prima esser rapiti dalla bellezza e dalla potenza dell’amore di Dio, vi auguro una buona settimana.

(Lc 15,1-3.11-32) In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».