XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria
(Elisa Moro)
“Nemo propheta in patria”, nessun profeta è bene accetto tra la sua gente, che lo ha visto crescere e maturare (cfr Mc 6,4). Il Vangelo della XIV domenica per annum (Mc. 6, 1-6) invita a fissare lo sguardo sullo “scandalo dell’incarnazione”: Dio agisce attraverso l’uomo Gesù, con tutta la concretezza e la quotidianità di una vita ordinaria, con delle relazioni familiari, un lavoro, un’abitazione; sceglie le situazioni abituali della storia e non eventi straordinari. Come scriverà l’Apostolo Paolo: “i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati …potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor l,22-25).
Il brano marciano proposto chiede ad ogni credente una conversione di sguardi, permettendo di compiere due riflessioni.
“E molti ascoltandolo rimanevano stupiti” (v. 2): Cristo “venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11).
Lo stupore della comunità di Nazareth, che non è di certo quello dei pastori a Betlemme, nasce dal manifestarsi improvviso della grandezza di Cristo, sbocciata, inattesa, da una consueta, scolorita, quotidianità e che può sfociare “nella più rovinosa delle passioni, che distrugge la stessa salvezza” (Crisostomo, Om. 46), l’invidia.
Lo scandalo di questi uomini e donne non è poi dissimile da alcuni atteggiamenti che connotano le attuali comunità cristiane o le relazioni umane: anziché “amarsi gli uni gli altri con affetto fraterno” (Rm 12, 9-11), lo stile è quello di una progressiva chiusura dinanzi alla novità, che rende “difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina, fino a credere che il Figlio di un falegname sia Figlio di Dio” (Benedetto XVI, 8/07/2012).
“E non vi poté operare nessun prodigio” (v. 5): a causa di questo blocco spirituale, Gesù non poté compiere a Nazareth nessun segno.
L’atteggiamento di Cristo non è certo quello di un capriccio, ma, come specifica Origene, “non poteva compiere miracoli”, ricordando che come “per i corpi esiste un’attrazione naturale da parte di alcuni verso altri, così la fede esercita un’attrazione sulla potenza divina” (Commento a Matteo 10, 19). I miracoli non sono e non devono essere letti come un’esibizione di potenza divina né richiedono compromessi; il vero miracolo è “l’incontro di Dio con la fede nell’uomo nella reciprocità” (Giovanni Paolo II, 16/12/1987), il riconoscere l’amore di Dio per testimoniarlo con gioia.