Io sono il pane vivo, disceso dal cielo
(Elisa Moro)
“Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv. 6, 51): il Signore prosegue il denso, e incompreso ai più, discorso di Cafarnao, parlando di sé come il vero pane eterno, il solo capace di “sostenere il vigore” (Sal. 103, 15) dell’uomo. Tutta la pagina del Vangelo della XIX domenica per annum (Gv. 6, 41-51) è incentrata attorno al verbo mangiare, un’azione essenziale, indispensabile: Dio è Colui che “ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi” (Dt. 8, 3), ma che è anche a fondamento della stessa esistenza di ogni uomo.
“Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre” (v. 44): Cristo pone le condizioni per ricevere il vero nutrimento che sfama in eterno. Non si tratta di possedere una maggiore conoscenza, o di particolari riflessioni filosofiche; si è veramente cristiani, “non solo chiamandosi tali” (cfr. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera Magnesia, 5), per “attrazione”, attraverso un incontro personale e tangibile con il Signore Gesù: “nec lingua válet dícere, nec líttera exprímere: expértus pótest crédere, quid sit Jésum dilígere” (la bocca non sa dire, la parola non sa esprimere: solo chi lo prova può credere, ciò che sia amare Gesù), come canta l’inno “Jesu dulcis memoria” di San Bernardo di Chiaravalle.
Non è una costrizione quella di Dio, “ma la forza d’attrazione sulla volontà, un vincolo d’amore” (Agostino, Trattato su Giovanni 26, 4-6), che spinge l’uomo ad una ricerca profonda di autenticità, che trova la sua pienezza solo in Cristo.
“Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (v. 51): sono parole dure, difficili da accogliere; si presenta “la nuova realtà divina con tanta crudezza che gli ascoltatori ne sono non solo colpiti, ma addirittura sconvolti” (Newman, Sermoni, p. 58), iniziando a mormorare e mostrare perplessità.
Anche oggi, come ai tempi di Gesù, non pochi restano scandalizzati davanti al paradosso della fede cristiana: “c’è chi lo rifiuta; c’è chi cerca di adattarne la parola alle mode dei tempi” (Benedetto XVI, 23/08/2009), ma questo non è sufficiente; il Signore non si accontenta di un’appartenenza superficiale e formale, di una prima ed entusiastica adesione; occorre, al contrario, prendere parte per tutta la vita alla Sua volontà.
Solo vivendo l’esperienza di nutrirsi di Cristo, lasciandosi sfamare da Lui, nell’incontro reale e autentico, “partecipando al Corpo e Sangue del Signore, non si tende ad altro che trasformarsi in ciò che si riceve” (Leone Magno Ser. 12 sulla Passione).