Un  duplice gravissimo lutto ha colpito il presbiterio diocesano il 4 e 5 agosto scorsi, con la morte nel volgere di poche ore di don Bartolomeo Quilico e don Giuseppe Bischi, entrambi ospiti della “Casa del Clero” presso la Casa di Riposo di Rivarolo.

Classe 1939, alladiese di nascita, don Quilico era stato ordinato sacerdote nel 1963 da monsignor Albino Mensa, divenendo da subito e per tutti “don Melino”; segretario di monsignor Luigi Bettazzi e membro dell’Ufficio Liturgico, egli legò gran parte del suo ministero alla cura della comunità di Cuceglio, di cui fu amatissimo parroco per quarant’anni; a questo incarico aggiunse anche – dal 2006 al 2017 – la responsabilità pastorale della natia Agliè, prima che il ridursi delle forze e l’incedere di una malattia debilitante lo costringessero al ritiro alla Casa del Clero.

Unanime il cordoglio dei fedeli cucegliesi, diverse generazioni dei quali sono cresciute con don Melino, tranquillo e discreto “motore” di una comunità attiva e vivace.

A questo proposito, vale la pena di ricordare che l’associazione benefica nata una quindicina di anni fa per provvedere al restauro della chiesa parrocchiale era stata ribattezzata dai suoi promotori “Vedremo…”, riprendendo una delle classiche risposte che don Quilico era solito fornire in prima battuta alle sollecitazioni dei suoi giovani: un atto di affetto per un sacerdote e maestro di vita e di fede.

Don Pino Bischi era invece nato nel 1929 ad Abbadia di Naro di Cagli (Pesaro), ma si era trasferito in gioventù in Canavese, dove era maturata la sua vocazione.

Ordinato sacerdote nel 1952 ad Ivrea da monsignor Paolo Rostagno, dopo i primi incarichi da viceparroco (a Verolengo, Settimo Vittone e Pavone) per lui era arrivata quasi subito la designazione a “rettore” di Loranzè, dove divenne instancabile promotore di una miriade di attività pastorali (dalla filodrammatica al cinema per ragazzi e famiglie, dal bollettino parrocchiale alla gestione dell’Asilo), unite alla passione per l’insegnamento e per lo sport, praticato e amato come uno dei tanti mezzi per esercitare la sua paternità spirituale.

Il suo ministero a Loranzè è durato ininterrottamente sino ad oggi, ovvero per 13 lustri: un primato difficilmente eguagliabile.

Solo negli ultimi due mesi si era rassegnato a lasciare il suo paese d’adozione, convinto a malincuore dalla salute malferma ad accettare il ricovero a Rivarolo: è mancato però – il 5 agosto – all’ospedale di Ivrea, dove era stato trasferito da pochi giorni.

Di seguito proponiamo un ricordo dei due sacerdoti a firma del Vicario generale, certi che le sue parole interpretino il senso di cordoglio e di gratitudine che tutti i confratelli e tutti i parrocchiani continuano a nutrire per don Melino e don Pino.

In questi giorni estivi, nel riordinare alcune carte di famiglia, ho ritrovato con sorpresa una pagina del Risveglio Popolare del 17 marzo 1983, contenente la raccolta di quattro articoli commemorativi (con relative fotografie) del prevosto di Cuceglio don Luigi Scarpinello, deceduto il 9 marzo del medesimo anno.

A suo tempo, avevo ritagliato quella pagina del settimanale diocesano, conservandola come preziosa memoria del parroco del mio paese natio, che coltivò i germogli della mia vocazione sacerdotale.

Tra gli articoli, ne rileggo oggi uno in particolare: porta la firma di don Melino Quilico, che fu suo immediato successore alla guida della comunità cucegliese.

È intitolato “Sofferenza, suo ultimo servizio pastorale” e sviluppa una breve ma profonda riflessione su come don Scarpinello avesse vissuto la dolorosa infermità dell’ultimo periodo come un servizio al bene del popolo che amava: un servizio ancor più fecondo rispetto a quello che può essere offerto nell’attività pastorale.

Penso oggi, con particolare emozione, che quelle stesse riflessioni sul suo predecessore, potrebbero essere riscritte per don Melino.

Anch’egli è stato associato al singolare destino di don Luigi: concludere il proprio ministero in modo diverso rispetto a ciò che sembra dover caratterizzare l’attività di un sacerdote. L’unione con Cristo crocifisso, nel silenzio e nel nascondimento, è stata l’ultima missione che don Melino ha vissuto coerentemente, dall’inizio del 2020 fino alla morte.

Il declino delle forze lo aveva portato consapevolmente a rinunciare a quella parrocchia che aveva guidato per ben trentasette anni.

I cucegliesi ricordano senz’altro con commozione l’ultimo messaggio del 15 maggio 2020, che fu trasmesso in audio a distanza, dove don Melino, dalla sua abitazione di Agliè, ringraziava i parrocchiani per il lungo percorso condiviso: l’altoparlante posizionato sul campanile diffondeva la sua voce nelle case, quasi come l’ultimo abbraccio del Pastore a tutti i cucegliesi, nessuno escluso, poiché a tutti egli è stato vicino con discrezione.

Sappiamo quanto grande, nel suo ministero, era la predilezione per la Sacra Liturgia, che ha amato e fatto amare ai fedeli.

Ci ha insegnato che non è una mera cerimonia ma la celebrazione del mistero di Cristo morto e risorto per la nostra salvezza, in cui i fedeli sono coinvolti con una partecipazione attiva, devota, fruttuosa. Un giorno mi confidò: “Molti si augurano di morire improvvisamente, ma io spero di avere il tempo sufficiente per celebrare anche la mia morte“.

Caro don Melino, sei stato esaudito in questo desiderio, avendo avuto l’opportunità di vivere una prolungata liturgia, in cui il progressivo e doloroso declino delle tue energie era costantemente unito al sacrificio del tuo Signore sulla croce.

La Madonna Addolorata, che tanto hai venerato insieme con i cucegliesi nel caro Santuario, ti ha accompagnato maternamente in questo difficile percorso.

Possa tu oggi godere la luce della Pasqua eterna e ricevere una generosa ricompensa per la fede, la speranza, la carità che hai testimoniato tanto nel tempo dell’attività quanto in quello della malattia!

“Ciao, ragazzo!”. Era questo il consueto saluto che don Bischi rivolgeva a me e agli altri confratelli ad ogni incontro: d’altronde, non si sbagliava essendo ben più anziano di tutti gli altri preti della diocesi, che ai suoi occhi ormai apparivano come poco più che giovincelli! Ogni volta che lo vedevo comparire in Curia a Ivrea, ridevo sotto i baffi pregustando le sue graffianti battute… e don Bischi non si smentiva, raccontando barzellette o aneddoti che, oltre a suscitare una sonora risata, facevano pure riflettere: persino nella sua ironia brillava un raggio di quella sapienza evangelica che ha animato tutta la sua vita. Giunto in Piemonte ancora fanciullo, aveva conservato nel suo temperamento le caratteristiche della terra marchigiana, dov’era nato il 5 dicembre 1929. Sensibile e generoso, mai negava un aiuto ai poveri che bussavano alla sua porta, anche quando qualcuno approfittava del suo buon cuore. Sanguigno e volitivo, non esitava a battagliare per difendere le proprie convinzioni. Socievole e ospitale, gradiva la visita di parrocchia[1]ni o di confratelli, con i quali si intratteneva in lunga conversazione, conclusa con l’immancabile raccomandazione: “Passa di nuovo a trovarmi”. La sua vita sacerdotale è stata profondamente legata a Loranzè, dov’era giunto come giovane parroco, appena ventottenne, il 14 aprile 1957. Ha lottato e sofferto per incrementare l’unione di una parrocchia storicamente divisa nei due rioni, Alto e Piano. Ha sacrificato beni personali per dotare la parrocchia di strutture che garantissero non solo il degno esercizio del culto, ma anche le attività pastorali necessarie per formare una buona comunità. Soprattutto è stato vicino alla gente, con totale disponibilità a condividere le gioie e le fatiche della loro vita quotidiana: era davvero un Pastore che trovava la sua piena realizzazione nella dedizione costante al gregge che il Signore gli aveva affidato. Da Loranzè aveva dovuto separarsi in questi ultimi due mesi: ormai le forze lo abbandonavano e il ricovero presso la Casa del Clero a Rivarolo era diventato inevitabile. Tuttavia, il suo pensiero era sempre rivolto là, a quel colle che ha ospitato la sua vita e il suo ministero di parroco per ben sessantacinque anni. Nel giorno in cui la Chiesa celebra la Trasfigurazione del Signore, don Pino è arrivato al colle più alto dell’eternità: di là potrà vegliare per sempre sui suoi parrocchiani e su tutti gli amici che con lui hanno condiviso un tratto di strada in questo mondo.

Don Gianmario Cuffia