Il modello semipresidenziale gollista è finito a Parigi sotto i colpi avventati di Emanuel Macron, che è riuscito a sbarrare la strada dell’Eliseo alla destra estrema di Marine Le Pen: due francesi su tre le hanno votato contro. È tuttavia aperto il tema della governabilità, perché nessuna “area politica” ha la maggioranza in Parlamento. Emerge il confronto con l’Italia, ove il Quirinale svolge un ruolo di garanzia “super partes”, e con la Germania, sorretta da un sistema parlamentare proporzionale che regge meglio le crisi politiche e sociali.

Nella patria dei “giacobini” è emersa significativamente la crescente complessità dell’opinione pubblica, divisa ben oltre lo schema mediatico destra-sinistra in quattro schieramenti : fronte popolare, centristi, gollisti, destra lepenista. E all’interno di ciascun schieramento ci sono ulteriori “distinzioni”: a sinistra socialisti, comunisti, verdi, radicali di Melenchon; al centro i liberali di Macron e i cattolici-popolari di Bayrou, nei Gollisti emergono centristi e conservatori, nella Destra c’è rivalità tra Marine Le Pen e il delfino Bardella. Una situazione da Italia della prima Repubblica che fa ipotizzare ai grandi media europei soluzioni “romane” come i governi tecnici di Monti e Draghi o soluzioni “balneari”, con la conferma del premier attuale Attal. In ogni caso la formula “un uomo solo al comando” è definitivamente sepolta (ed è in discussione anche negli Usa di Biden e Trump).

Nella destra italiana la sconfitta lepenista colpisce soprattutto Salvini che ha puntato su Bardella all’Eliseo, aderendo con la Lega al raggruppamento europeo fondato dall’ungherese Orban (“I Patrioti”), su posizioni sovraniste e filo-moscovite (clamoroso l’ossequio a Putin del premier di Budapest, contro le scelte di Bruxelles; ancor più grave il silenzio ungherese dopo la strage russa all’ospedale pediatrico di Kiev); il vice-premier italiano è sempre stato vicino a Mosca, ma ora le distanze con Giorgia Meloni, atlantista e filo-Ucraina, diventano ancora più evidenti. Analoghe le differenze con l’altro vice-premier Tajani e con Forza Italia: il risultato è uno strabismo politico, con una parte del governo “moscovita” e l’altra parte sulla linea europea. Questa situazione paradossale sta creando problemi tra i berlusconiani, che vorrebbero un Tajani più determinante.

La Meloni, tra breve, dovrà poi scegliere tra il sostegno alla leader europeista e popolare Ursula von der Leyen, e un atteggiamento di astensione, per non rompere con la destra lepenista, euroscettica. Per l’Italia, fondatrice dell’UE, non sarà una scelta ininfluente e priva di valori e conseguenze.

A sinistra il voto parigino ha riaperto il dibattito interno al Pd tra la linea radicale della segretaria Schlein e quella riformista del presidente Bonaccini. La Schlein ha esultato per il successo del Nuovo Fronte Popolare (184 seggi in Parlamento su 577, maggioranza relativa), rilanciando il modello politico anche a Roma; Bonaccini ha ricordato che la sinistra non può governare senza l’accordo con i moderati (a Parigi 166 seggi ai Centristi, 65 ai Gollisti), smentendo la linea del radicale Melenchon che rifiuta intese con Macron; a sostegno di una scelta riformista il presidente Pd cita anche il successo in Gran Bretagna del laburista moderato Starmer, che ha azzerato l’egemonia conservatrice filo-Brexit dopo 14 anni a Downing Street.

Sulla linea Schlein si muovono i leader di AVS (Alleanza Verdi-Sinistra), Bonelli e Fratojanni: il numero uno di Sinistra Italiana ha compiuto un exploit, portando gli eurodeputati pentastellati nel suo gruppo europeo. La scelta avallata da Conte ha invece riaperto il dibattito nel M5S sulla sua collocazione politica e programmatica, anche per le radici populiste del Movimento, che a Strasburgo è stato con gli euroscettici del britannico Farage, con il Gruppo Misto, garantendo poi l’appoggio determinante alla presidenza di Ursula von der Leyen (ma oggi Conte ha dichiarato un voto contrario per i temi della pace e dell’ambiente).

Nel Parlamento di Strasburgo, che avvierà la nuova legislatura il 18 luglio, la presenza italiana si preannuncia molto frastagliata, mentre a Roma è scattata la procedura per il referendum sulla legge Calderoli (autonomia regionale differenziata), con la raccolta di firme da parte del centro-sinistra, della Cgil, di varie forze sociali e culturali. Il nemico da battere sarà l’astensionismo: come ha ricordato Calenda, occorreranno 26 milioni di elettori, ovvero il doppio dei voti raccolti dal campo largo alle politiche.