(Filippo Ciantia)
È partita sabato scorso l’edizione 104 del Giro d’Italia, la “corsa rosa”, con la cronometro iniziale dominata dal nostro giovane campione piemontese Filippo Ganna. Già si è incendiato l’entusiasmo degli appassionati.
Correva l’anno 1921, proprio cento anni fa. La nona edizione del Giro sembrava non avere storia. Costante Girardengo aveva vinto le prime quattro tappe in una edizione che ne prevedeva dieci. Durante la quinta tappa il campione cade, si ferisce, perde molto terreno, gli avversari lo attaccano e lo distanziano. Inizia la salita che già per lui non era il pezzo forte (mentre era imbattibile, invece, in discesa, come passista e nelle volate).
Il direttore sportivo Colombo lo incita a resistere: ma i dolori sono tremendi e la vista si annebbia, per la fatica e il sudore misto al sangue delle ferite. La salita di Sulmona è un vero calvario, nonostante l’incitamento dei tifosi: “Dai, dai, dai!”. Sull’altopiano delle Cinquemiglia il campione si arrende. Si ferma, scende dalla bicicletta, traccia una croce nella polvere: “Girardengo si ferma qui”. Era il 2 giugno 1921.
In quello stesso luogo sorgerà un monumento scolpito nella pietra della Maiella. Lo scultore e scalpellino Stefano Faccini ci offre Girardengo, Uomo Costante, “in piedi, sorridente, con lo sguardo verso l’alto e le braccia conserte, come la X che ha disegnato sulla terra” e la bicicletta appoggiata al suo fianco.
Come è attuale la storia del mitico ciclista!
Per i cronisti dell’epoca il campione, stremato, disegnò una croce sulla terra, per l’artista contemporaneo essa diventa una “x”. Anche Cristo, il crocifisso, è diventato un ignoto, un Dio enigmatico. Siamo chiamati, oggi, ad affrontare la salita della vita, il sacrificio e le difficoltà, appoggiandoci alla Croce, affinché sia ancora familiare nel mondo il Suo senso di redenzione.
Sopravvissuto alla Grande Guerra, Girardengo vinse la anche “Spagnola”, dopo aver rischiato seriamente di morirne. Ma poi, seppe vincere più volte, ma anche accettare la sua condizione di campione ferito e sconfitto.
Anche noi possiamo scendere dalla bicicletta, fermarci, accettare la croce di questi tempi duri e incerti, perché dopo la salita siamo certi che c’è la discesa.
Torneremo ad essere campioni, nel nostro piccolo e umile quotidiano. “Dai, dai, dai!”.