PROSEGUE IL RESOCONTO DI VIAGGIO DEI TRE SALESIANI DEL CAGLIERO

(sedicesima puntata)

Nel ritorno siamo in compagnia del Signor Don Torquis e del Signor Don Cinato; i quali ci acquistano una coperta per ciascuno, che ci serva nel viaggio a Madras ed anche in Missione stessa. Prima di cena il Signor Ispettore ci chiama separatamente per darci alcune istruzioni; e ci dice che ci raggiungerà tra qualche giorno a Madras. Facciamo una cena frugale, e poi lasciamo l’Istituto per andare alla stazione noi pure. Ma ecco che fatto un centinaio di passi, Colombo prorompe in un gran “oh, il mio soprabito!!”. Lupi, che non ha capito bene, grida di rimando: “Oh, distratto!”. Ma dopo un po’ si picchia la pera, e anche lui: “Oh, il soprabito!”.

Colombo allora si consola un po’; si consolano ambedue, e poco dopo… sono ancora in gruppo. Si fa l’ultima sbirracciata in tramvai; ed eccoci già alla stazione. Prendiamo subito possesso dei posti, e verso le 22, dopo aver salutato il Signor Ispettore ed i Superiori del “Don Bosco”, partiamo da Bombay per Madras… con l’incarico di salutare Sua Eccellenza Monsignor Mathias da parte dei Professori d’orchestra del Victoria qui casualmente ritrovati.

Comincia la corsa del nostro treno attraverso l’immensa pianura indiana: i primi istanti li trascorriamo animatamente, ma alla fine la stanchezza ci vince, e prendiamo riposo sui sedili, trasformati per questo in quasi soffici giacigli.

Sabato, 7 Settembre 1935

Non possiamo dire d’aver trascorsa una notte proprio placida, ma insomma abbastanza buona sebbene un po’ in agitazione. Al primo svegliarsi, Colombo si vede accoccolato vicino un grande Indiano, il quale si rivela subito tanto, tanto loquace… Questi lo apostrofa subito con le più svariate domande, in inglese s’intende. Colombo risponde “yes, yes” a più non posso, intercalando ogni tanto qualche “well”, fino a che l’altro capisce, e deve fargli i complimenti “Voi parlare molto bene indianaccara”. E finalmente, a una fermata, scende dal treno. Dal canto suo, Colombo è contento come uno che l’ha scampata bella! Diciamo le orazioni, e alcun tempo dopo, colazione… Facciamo portar del caffè, ma ci accorgiamo subito che il caffè qui è un’altra cosa… Allora guardiamo il nostro cesto, datoci a Bombay, e pensiamo che a mezzogiorno mangeremo un po’ più da cristiani… Intanto notiamo questa pianura indiana: è davvero un po’ povera, brulla; salvo qualche tratto diverso dove vi è un po’ più di verzura. In generale è davvero poco coltivata, e troviamo in questo la ragione forse principale della povertà di questo gran popolo indiano, del tutto impressionante nei poveri “paria”, soggetto di disprezzo da parte delle classi o caste superiori. Per colmare la misura notiamo ogni tanto qualche lebbroso randagio…

Il quadro poco allegro non ci contrista, però: il Buon Gesù conosce tutto questo, e saprà un giorno mutare in felicità tutto quanto ai nostri occhi è solo tristezza e miseria: non spetta a noi il rattristarci, ma solo il sperare per un maggior bene: cantiamo, suoniamo, preghiamo…

A mezzogiorno facciamo portare, secondo il consiglio del Signor Ispettore, un po’ di minestra. Ma ecco che non si riesce di rimestare altro che brodo! Ipso facto decidiamo di mandare alla malora le zuppe e le minestre, e attingiamo al nostro solo canestro. A fissare il nostro proposito, contribuisce il fatto che ce la fanno pagare molto cara: zuppa per sette persone e 7 limonate, prezzo 6 rupìe = a circa 30 lire italiane!

Nel pomeriggio siamo un po’ stanchi, o forse solo molto assonnati: il treno si ferma ad ogni piè sospinto, proprio fa venir la barba… Tuttavia ci animiamo col fare un po’ di musica: e gl’Indiani dimostrano molto interesse: ad ogni stazione si raduna una folla di uditori davanti alla nostra carrozza, e ci dimostra simpatia; al nostro partire, poi, ci salutano romanamente: non è forse tanto, cari Compagni, per essere a diverse migliaia di chilometri da Roma, dalla nostra bella Italia?… Quando più siamo stanchi, ci appartiamo un po’, e ci riposiamo…

Ad un certo punto recitiamo il Rosario, e quando è calata la sera facciamo la cena “al cesto”. E il cesto è veramente pingue: vi è ogni ben di Dio: brigata contenta! E il nostro compagno di viaggio Giuliano ci diverte un mondo con le sue amenità: si comporta come se fosse un funzionario delle Ferrovie; ad ognuno che sale il predellino, per entrare in vettura, viene da lui autorevolmente apostrofato, per il che ognuno, intimidito, cerca posto altrove, e così noi restiamo sempre pochi e… comodi! Ad un certo punto però, ecco il pane per i suoi denti: un piccolo indiano, che lo lascia dire, e poi si accoccola proprio in mezzo a noi!Il povero cambia allora registro, e quasi quasi gli fa i complimenti!

Ad un certo punto, poi, rimane giù dal treno, ed è costretto a saltar dentro una vettura di prima classe mentre il treno è in corsa… Così va a rischio di fare l’altro nostro compagno Comandù… A sera inoltrata ci disponiamo per dormire durante questa nostra seconda notte in treno, e dopo d’aver detto le orazioni in particolare, eccoci già in braccio di un sonno ristoratore.

(prosegue sul prossimo numero)