(Editoriale)
Si registra una certa perplessità davanti al fenomeno di imprenditori che non trovano lavoratori e lavoratori che non trovano impiego. Sembra una contraddizione, e in qualche modo lo è. Basta pagarli come si deve e i lavoratori si troverebbero, dicono fonti diverse. Per certi casi è vero, e le cronache non mancano di sottolinearlo; per altri casi è arcinoto che scarseggiano professionalità specifiche, diventate indispensabili con l’evoluzione tecnologica del mondo del lavoro.
Ci sono ancora tanti lavori in cui braccia, gambe e spalle sono necessarie: per coloro, per esempio che consegnano nelle nostre case cibi e corrispondenza.
Nei nostri territori un tempo le fabbriche erano piene di operai che facevano funzionare tutto; ora di operai ne bastano pochi, talvolta pochissimi, per gestire computer, robot, automatismi vari che fanno marciare tutta la fabbrica. Fabbriche che hanno guadagnato in produttività, precisione, efficacia, puntualità.
Che ne sarà di camionisti, tassisti, piloti, tramvieri e altri ancora, quando la guida sarà autonoma e non ci sarà più bisogno di loro? Si potrebbe continuare con altri esempi, e ricordare che l’automazione del lavoro, pensiamo a quello agricolo, per esempio ma non solo, ha cancellato tante fatiche che l’uomo doveva fare per arrivare al raccolto. E da qualche parte i lavoratori ci hanno guadagnato in salute.
Dall’altro lato, l’automazione ha cancellato milioni di posto di lavoro tradizionali e ha richiesto specializzazioni che anni fa un operaio non avrebbe mai pensato di dover possedere.
Da qui la trasformazione richiesta alla scuola per sfornare non solo dei colletti bianchi, ma anche degli operai con nuove capacità e professionalità per far funzionare macchine, computer, robot, che a loro volta faranno il lavoro che un tempo faceva l’operaio.
Il progresso tecnologico continua a modificare il lavoro che, forse, sarà meglio pagato di quello dei nostri genitori e nonni alla catena di montaggio.