(Mario Berardi)

Il premier Draghi alla Casa Bianca ha rilanciato con Biden la linea europea di Macron e Scholtz: cercare una tregua, percorrere ogni via diplomatica per la trattativa, fermare la guerra, il massacro del popolo ucraino, bloccare l’aggressione russa. Il popolo europeo chiede la pace – ha ammonito il presidente del Consiglio – occorre compiere ogni sforzo in questa direzione. Contestualmente Draghi ha ribadito la stretta alleanza con gli Stati Uniti, la confermata adesione alle richieste, anche militari, del presidente Zelensky, la linea delle sanzioni per mutare le scelte di Mosca; ma nelle sue parole è emersa una forte spinta per “la pace subito”, per il “cessate il fuoco” dopo quasi tre mesi di guerra insensata. Toni diversi da quelli ascoltati da Putin (nel discorso sulla Piazza Rossa) e dalla risposta del segretario della Nato Stoltenberg, entrambi orientati a un conflitto di lunga durata, come se non bastassero oltre sei milioni di sfollati, migliaia di morti, violenze, stupri, sopraffazioni di ogni genere.

Alla Casa Bianca si è anche discusso dell’emergenza alimentare, con una nuova temuta carestia per le popolazioni dell’Africa (in primis), e degli approvvigionamenti energetici, con un ruolo attivo dell’Italia nel ridurre la dipendenza da Mosca. Ma l’aspetto politico emergente è la nuova posizione dell’Europa, che vuole un’alleanza paritaria con gli Usa: nessuna divisione per non favorire Putin, guida condivisa delle scelte. Il Vecchio Continente, peraltro, ha problemi non indifferenti di unità al suo interno, come emerge dalle posizioni dell’Ungheria (filo-russa) sulle nuove sanzioni verso Mosca in campo energetico.

Con Biden il premier ha tenuto conto anche delle critiche alle scelte atlantiche da parte dei giallo-verdi (Conte e Salvini) e di alcuni settori del Pd (Delrio); è tuttavia improbabile che questo dissenso assuma scelte traumatiche nel prossimo dibattito alle Camere. Palazzo Chigi peraltro mantiene il fermo sostegno del Quirinale, determinato nella denuncia delle responsabilità politiche, etiche, giuridiche di Mosca verso uno Stato sovrano, in violazione dei trattati internazionali.

Alcuni media avanzano l’ipotesi, in caso di permanenti contrasti nella maggioranza, di elezioni anticipate in autunno, nonostante il conflitto e la crisi economica. Ma è la stessa dissoluzione delle due coalizioni a sconsigliare questa prospettiva traumatica: nel centro-destra lo scontro sulle elezioni in Sicilia è quotidiano; analogamente è fallita la linea presidenzialista della Meloni, anche per forti assenze nella Lega e in Forza Italia nel voto parlamentare; e in politica estera Salvini e Meloni sono su due fronti opposti, dal “sovranismo” all’atlantismo. La Lega sta con l’ungherese Orban, l’amico di Putin nella UE, FdI con i Polacchi, principali avversari dell’espansionismo moscovita, decisi nel sostegno, anche militare, a Kiev.

Non è migliore la condizione del centro-sinistra, nonostante due ore di colloquio tra Letta e Conte; il segretario del Pd è in prima linea nella scelta occidentale e atlantica, il M5S è diviso sui rapporti con Mosca, essendo ben nota la scelta di Grillo per il presidente russo; la stessa forzata sostituzione del presidente della Commissione Esteri del Senato, Petrocelli, conferma il travaglio politico e ideologico del Movimento.

In questo clima “agitato”, i referendum sulla giustizia e le amministrative del 12 giugno si svolgono in un contesto di forte astensionismo: secondo i sondaggi soltanto un elettore su tre intende partecipare alla consultazione referendaria voluta dai Radicali e da Salvini; gli altri partiti (Pd, FdI, M5S) sembrano deliberatamente assenti, mentre l’Associazione Nazionale dei Magistrati ha “sparigliato” le carte promuovendo uno sciopero contro la riforma della Giustizia della ministra Cartabia, già approvata dalla Camera; purtroppo, dopo lo scandalo che ha travolto l’ex Presidente dei giudici, Palamara, si è incrinata la fiducia della maggioranza dei cittadini nei confronti della Magistratura, a cominciare dal sistema delle nomine. Una riforma dell’ordinamento appare indispensabile, anzitutto per la necessaria credibilità del Terzo Potere dello Stato democratico. La strada della paralisi sarebbe la peggiore soluzione.