(Mario Berardi)
Il voto di domenica è essenzialmente amministrativo: per il Comune o la Regione, non per il Governo. L’Esecutivo Draghi è blindato sino a febbraio, alle votazioni del Parlamento per il Colle: non solo per la standing ovation all’Assemblea della Confindustria, ma soprattutto per l’impegno con Bruxelles sulle riforme (tra l’altro il voto tedesco, con il nuovo peso dei liberali, rafforza una linea finanziaria non favorevole all’Italia, con un ritorno all’austerity).
Sul versante dei partiti sono previsti dei possibili contraccolpi, ma non determinanti per il premier.
Il segretario del Pd Letta è in gioco nel collegio della Camera a Siena: ma il Governo lo sta aiutando, raffreddando la “bomba” del Monte dei Paschi di Siena (la trattativa per la fusione con Unicredit va a rilento, e non si escludono soluzioni meno traumatiche per la cittadina toscana e l’occupazione); inoltre sia i Pentastellati sia i centristi di Renzi e Calenda hanno agevolato la sua corsa a Montecitorio. L’ex premier Conte, a sua volta, eredita la probabile sconfitta della Raggi e dell’Appendino a Roma e a Torino, con sondaggi al nord sotto il 10%; ma i suoi avversari interni, Beppe Grillo e il ministro Di Maio, non possono aprire ora una crisi del Movimento, alla vigilia della decisiva scelta per il Quirinale.
A destra Salvini, Meloni e Berlusconi hanno tutti problemi seri. Il leader della Lega è stato sconfessato dai suoi ministri e dai Governatori sulla questione delicatissima dei no-vax e no green-pass, con la spaccatura verticale dei gruppi parlamentari; ora subisce le conseguenze politiche dell’incriminazione per spaccio di droga del capo della comunicazione della Lega, Morisi; soprattutto è in difficoltà per la crisi della destra a Milano, con il candidato civico, il pediatra Bernardo, “scaricato” anche dal ministro Giorgetti. Non va meglio la Meloni con le candidature (deboli) di esponenti FdI a Roma e a Napoli, mentre Forza Italia, con Berlusconi impegnato nella corsa per il Colle, rischia nel feudo lombardo un risultato negativo, come i “nemici” pentastellati. Il centro-destra si consolerà probabilmente con la riconferma alla Regione Calabria, anche per la presenza di ben tre candidati dell’area centro-sinistra – M5S.
In una competizione amministrativa a pelle di leopardo, si distingue per il carattere anomalo la scelta di Torino, ove tutti, sondaggisti e politici, danno molto probabile il ricorso al ballottaggio, il 17 ottobre. Il segretario del Pd Letta ha chiesto all’ex premier Conte l’appoggio dei pentastellati a Stefano Lo Russo, ma la risposta è stata totalmente negativa, sulla linea dettata da Chiara Appendino; anzi Conte ha rimproverato al Pd torinese il “no” alle alleanze con il M5S sancito nel documento congiunto con i Moderati, con forti critiche al “malgoverno” dei grillini; l’unica convergenza è stata nella partecipazione al corteo del Gay-pride, sulla linea radicale dei “diritti” del Movimento Lgbt. La sinistra del centro-sinistra insiste invece sul pericolo di una vittoria della destra: sarebbe la prima volta a Torino dalla Resistenza ad oggi.
Nel centro-destra, scavalcando Salvini e la Meloni, il maggior sostegno a Paolo Damilano è venuto dal ministro Giorgetti, capo dell’ala moderata della Lega, spesso in contrasto con il segretario. Proprio a Torino, dopo un incontro con il mondo imprenditoriale, Giorgetti ha candidato Mario Draghi al Quirinale (prevedendo elezioni politiche anticipate in primavera) e, nella sua qualità di titolare del dicastero dello Sviluppo economico, è apparso pessimista sulla vertenza Embraco e sul ventilato insediamento Intel a Mirafiori, dopo la perdita del polo delle batterie. Nei fatti il ministro ha confermato la gravità della questione lavoro nella capitale subalpina.
Questa perdurante tensione sociale – da sempre denunciata dall’Arcivescovo Cesare Nosiglia – è una delle cause essenziali della “freddezza” della campagna elettorale in terra subalpina, nonostante tredici aspiranti-sindaco e trenta liste per il Consiglio comunale. E anche sui diritti la confusione è stata grande, rivendicati da sinistra quelli individuali, da destra quelli sanitari (no-vax, no green-pass). Aldo Moro, il grande statista assassinato dalle BR, avrebbe coniugato diritti e doveri, per una società giusta e responsabile.
In questo contesto dilacerato, permangono alte – secondo i sondaggi – le previsioni di astensione dal voto, ancor più nel molto probabile ballottaggio. Non sarebbe un buon segnale per la vita democratica e per il lavoro del nuovo Sindaco.