(Mario Berardi)
La tragedia dell’Ucraina, da un mese aggredita dalla Russia di Putin con una guerra atroce, senza giustificazioni (come ricorda sempre Papa Francesco), ha riunito deputati e senatori nell’ascolto del presidente Zelensky: in primo piano le sofferenze drammatiche di un intero popolo, con migliaia di morti, bambini deportati, donne violate, una città come Mariupol (popolata come Genova) interamente distrutta, milioni di persone in fuga (secondo l’Onu sono come gli abitanti del Belgio: una decina di milioni). Il presidente ucraino ha contemporaneamente rilevato la sfida politica ed etica di Putin all’Europa e all’Occidente, ai valori di libertà, democrazia, pace. Draghi ha espresso i sentimenti dell’Assemblea e della larga maggioranza del popolo italiano: solidarietà piena a Kiev, condanna senza attenuanti del dittatore russo, adesione alla linea dell’Unione Europea e dell’Occidente.
All’incontro con il leader della Resistenza ucraina sono tuttavia mancati circa trecento parlamentari, segnale chiaro del dissenso presente in alcuni gruppi politici. Non è un mistero che il primo Governo della legislatura, il Conte giallo-verde, esprimeva una vicinanza alla Russia di Putin, “bloccata” dalla fermezza atlantica del Presidente Mattarella: il fondatore del M5S, il comico Beppe Grillo (oggi silente sull’Ucraina), aveva esaltato la coppia di statisti Putin-Trump, Salvini (con più prudenza Berlusconi) aveva espresso il rammarico che in Italia non ci fossero leader come il presidente moscovita.
Oggi i Grillini sono spaccati tra la netta scelta occidentale del ministro degli Esteri Di Maio e l’attendismo di Conte, mentre Salvini si è convertito, con difficoltà, alla solidarietà con Kiev, senza convincere tutti i suoi parlamentari; attendisti anche alcuni esponenti della sinistra, come l’ex presidente della Camera, Boldrini. Il vero sostegno alla linea Draghi è venuto da Letta, dai centristi e, a sorpresa, dalla leader dell’opposizione, Meloni. Una “maggioranza ucraina” diversa da quella della “larga coalizione”, che tuttavia consente al Governo di non scomparire in un frangente geo-politico così decisivo, a cominciare dal vertice di Bruxelles dell’Europa e della Nato.
La sfida nazionalista di Putin (che punta allo smembramento dell’Ucraina, come fece Stalin con la Polonia, in accordo con la Germania nazista), mette l’Europa di fronte ad una scelta ineludibile: rassegnarsi alla sopraffazione o difendere la sua sovranità, le sue nazioni, i suoi valori, d’intesa con gli Stati Uniti di Biden che hanno abbandonato la linea Trump, amichevole con Putin. A Bruxelles l’Occidente riaffermerà il no all’intervento della Nato (per evitare la terza guerra mondiale, nucleare), ma insisterà sulle sanzioni per indurre Mosca ad una vera trattativa di pace con Kiev: la guerra non può concludersi con la capitolazione dell’Ucraina e con l’accettazione di tutte le richieste di Putin, compresa l’acquisizione dell’intera area sul Mar Nero, sino a Odessa. Sarebbe una resa (alla Chamberlain) al dittatore, come i patti di Monaco con la Germania nazista.
Ma le probabili sanzioni provocheranno certamente nuovi problemi all’Italia per l’approvvigionamento energetico, anche con nuovi nodi politici: favorevoli Draghi, Di Maio, Letta, Meloni, i centristi, problematici Conte e Salvini, cauti i Forzisti. Il Governo tuttavia può contare sull’appoggio pieno del Presidente della Repubblica, che non manca di condannare l’aggressione all’Ucraina come una minaccia alla pace dell’intero Continente europeo, la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale.
La crisi ucraina sta già pesando sulla nostra economia, con una rilevante riduzione della crescita prevista nel dopo-Covid, anche se il Governo ha assunto alcune misure urgenti per ridurre il caro-bollette. La Confindustria si è molto lamentata, con il presidente Bonomi, ma – come ha rilevato l’ex ministro Calenda – anche gli imprenditori debbono convincersi che la solidarietà concreta con gli Ucraini aggrediti non è a costo zero. Gli applausi a Zelensky non bastano per fermare l’avventura moscovita.