(Mario Berardi)

La tregua politica attorno al Governo Draghi è finita, perché il primo partito nel Parlamento (il M5S) è letteralmente esploso, con uno scontro fratricida tra il fondatore, il comico Beppe Grillo, e il leader designato, l’ex premier Giuseppe Conte. I gruppi parlamentari pentastellati sono nella confusione, con i senatori in larga maggioranza schierati con “l’avvocato del popolo” e i deputati molto divisi. Il segretario del Pd, Letta, che aveva puntato sull’alleanza con Conte, ha già messo le mani avanti sulle prossime elezioni per il Quirinale: “l’accordo è a rischio”.

La stessa navigazione sulle leggi sarà più difficile, perché l’opposizione della Meloni permane intransigente, mentre continua la lite quotidiana tra i due leader della maggioranza Draghi, Salvini e Letta. Già il ministro Patuanelli (fedelissimo “contiano”) ha chiesto al premier di ritirare lo stop al cashback, il meccanismo che incentiva l’uso dei pagamenti digitali.

Il M5S, vincitore inaspettato delle elezioni del 2018 con il 33% dei voti, rischia ora di dividersi in due formazioni e di frantumarsi, anche se alcuni sondaggi accreditano una ipotetica lista Conte attorno al 12-15%. L’ex premier e il fondatore del Movimento sono entrati in collisione non soltanto per l’egemonia, anche con insulti pesanti (“padre-padrone”, “incapace”), ma soprattutto per le diverse linee strategiche: Grillo è rimasto fermo alla tesi movimentista delle origini, al “vaffa”, alla rottura delle politiche tradizionali (clamoroso il sostegno alla Cina mentre il G7 emargina Pechino); l’ex premier, dopo tre anni di governo, punta a una formazione-partito, istituzionale, di centro-centrosinistra, con alleanze definite, senza cambiamenti ad ogni mutar di clima politico. La rottura pentastellata mette in crisi anche le alleanze locali per le amministrative, a cominciare da Torino ove la sindaca Appendino è notoriamente schierata con il professore di diritto. E a Napoli e Bologna reggerà l’intesa con il Pd?

Nei fatti la crisi grillina agevola il destra-centro, che vede accresciuto il suo peso politico nell’Esecutivo. Tuttavia la coalizione è bloccata dalla crescente sfida tra la Meloni e Salvini, soprattutto dopo i sondaggi che parlano di sorpasso di FdI sulla Lega; anche per questo sono caduti nel vuoto gli appelli di Berlusconi alla costruzione di un partito unico entro il 2023. La diaspora grillina e la rottura Salvini-Meloni rendono più probabile il ritorno a un sistema elettorale proporzionale, anche perché Letta, teorico del maggioritario, rischia di trovarsi senza alleati o con “compagni di viaggio” indeboliti (la stessa scissione a sinistra tra Fratojanni e Speranza ha ridotto Leu – di Bersani e D’Alema – al 2%). La “balcanizzazione” del sistema politico, segno di una profonda crisi culturale e sociale, rende il Governo Draghi da un lato più indispensabile ma dall’altro più fragile, con una prospettiva a breve-medio termine.

Per intanto l’Esecutivo ha messo a segno due risultati positivi e ha subìto un insuccesso. La prima novità positiva è l’accordo con le parti sociali sul blocco dei licenziamenti: non ci saranno fino a quando permarrà la cassa integrazione, ovvero sino all’autunno. Il primo decreto-legge dell’Esecutivo era più vicino alle richieste di Confindustria; con realismo, di fronte alle proteste dei sindacati, Draghi ha corretto il tiro, convincendo gli industriali a una nuova intesa con Cgil-Cisl-Uil.

Buoni risultati continuano intanto a registrarsi nella campagna di vaccinazione, nonostante mille polemiche e alcune difficoltà obiettive: il commissario gen. Figliuolo conferma l’obiettivo dell’immunità di gregge entro l’autunno; intanto i decessi e i ricoveri si sono molto ridotti, con una situazione ospedaliera tornata sotto controllo in tutta Italia.

Il neo è rappresentato dalla questione migranti perché l’Europa ha di fatto rinviato le scelte chieste da Draghi sulla ripartizione dei profughi; Macron per primo si è tirato indietro (forse colpito dalla dura sconfitta elettorale alle regionali).

Il nostro Paese dovrà quindi fronteggiare da solo l’ondata di sbarchi prevista per tutta l’estate, dalla Tunisia alla Libia; lo stesso impegno statunitense (confermato dal segretario di Stato Blinken) per nuovi equilibri in Medio Oriente richiederà tempo adeguato. Si profilano per il Governo nuovi attacchi della Meloni, anche per mettere in difficoltà Salvini. Ma Fratelli d’Italia non deve dimenticare la parabola grillina: protestare è facile, il governo del Paese tuttavia esige sacrifici e forte responsabilità.