Il tema della scuola e della sua funzione educativa resta d’attualità all’indomani del rientro in classe degli studenti, lunedì 12 scorso. Resta d’attualità anche per la domanda che abbiamo posto, giovedì passato in queste stesse righe, sull’emergenza educativa. C’è o non c’è emergenza educativa? Ci pare che ad essa – purtroppo – venga dato un profilo basso, diverso dalle emergenze “classiche”; le guerre e i loro effetti si vedono e si sentono, la pandemia ha fatto chiaramente capire cos’è e come si vive durante una crisi sanitaria, idem per la crisi energetica e per le conseguenze dei disastri provocati dagli sconvolgimenti climatici.
Sono emergenze visibili, palpabili, che fanno colpo sulla collettività, che si pagano anche con vite umane e hanno elevati costi per le tasche dello Stato e del cittadino, che lasciano strascichi.
L’emergenza educativa viaggia sotto traccia, più dimessa, legata alla condizione di una persona: non sarebbe (almeno per ora) la collettività ad esserne colpita e vittima, sfugge agli occhi dei più, è considerata di ridotta portata, non arreca danni e catastrofi alla comunità. Insomma, perché mai dovrebbe essere considerata un’emergenza? E per quanto i numeri siano alti, ci si tranquillizza pensando che non raggiungeranno mai (o quasi mai) i numeri delle vittime delle emergenze conosciute, a cui rispondono lo Stato, le sue Istituzioni e quei corpi intermedi dediti a portare aiuti, soccorsi, beni e denari.
L’educazione viene intesa – purtroppo – come un fatto personale al quale chi è coinvolto deve (o dovrà) dare una risposta e trovare una soluzione per conto proprio. Se deve essere emergenza, che lo sia nella sfera privata del singolo che si trova coinvolto in questo problema! Ma non è questo il modo giusto di vederla e affrontarla. L’emergenza educativa ha ricadute su tutti, esiste, c’è già, benché la settimana scorsa avessimo tentato di esorcizzarla per immaginarla ancora lontana, considerandola un “di troppo” rispetto alle altre che abbiamo tra i piedi.
Viene da chiederci: a chi giova che un’altra emergenza, che privata non è, si allarghi così tanto nel nostro Paese? I numeri sono agghiaccianti, li abbiamo citati la settimana scorsa e sono ampiamente disponibili su internet. Ma anche i tagli e i mancati investimenti statali per l’educazione sono altrettanto corposi.
Vogliamo forse che continui a crescere il numero di giovani che non capiscono le domande e che non comprendono un testo scritto? Che conoscano sempre meno parole e ancor meno ne utilizzino? Che restino indietro, e fuori, dall’avanzata tecnologica inesorabile che condiziona anche la ricerca di un “semplice” lavoro? Vogliamo far crescere un popolo analfabeta, che è più facile da governare e da sottomettere?
A chi gioverebbe tutto questo? Perché come la verità, anche l’educazione, tra tutto il resto, rende liberi.