Giorno più, giorno meno, la campanella d’inizio anno scolastico è suonata dappertutto. Suonerà tutti i giorni per scandire i ritmi di studenti, insegnanti e genitori e per ricordare che studiare si deve, meglio se con serenità, responsabilità e coscienza del ruolo che ciascuno ricopre. Quindi è più che ovvio che si debba augurare “buon anno” a tutti coloro che ne sono coinvolti. Perché un anno, e soprattutto un anno dopo l’altro, seduti dietro ai banchi e alle cattedre, si trascorre un non corto periodo di vita, che determinerà in maniera pesante gli anni adulti dedicati al lavoro, alla famiglia, allo svago…

Le campanelle risvegliano anche la coscienza sui problemi vecchi e nuovi che accompagnano, e talvolta mai abbandonano completamente, le nostre scuole. A cominciare dalla denatalità, parola non-magica sempre più evocata: perché siamo ormai tutti più coscienti che la diminuzione delle nascite costituirà un pericolo per la tenuta di molti settori della nostra società.

Non così per Mario Draghi che, tra le 50 parole che più ha utilizzato nel suo rapporto sulla competitività in Europa, non figura la denatalità, sebbene egli riconosca, allarmato, che “l’Unione sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione”.

In numeri, secondo Draghi, entro il 2040 (che non è così lontano come appare) la forza lavoro diminuirà di 2 milioni di lavoratori ogni anno. Neppure l’immigrazione sarebbe sufficiente a colmare il gap. E quale è la sua ricetta? Non quella di incentivare la natalità, quanto piuttosto la produttività, per stimolare la crescita puntando sulla digitalizzazione e diventare una potenza tech.

Anche le nostre classi vedono ridursi alunni e studenti: di questo nuovo anno scriveremo la prossima settimana – perché il tema scuola non lo vogliamo far passare sotto silenzio –, quando il rientro si sarà già stabilizzato e le cose meglio definite.

Dall’inizio dell’anno scolastico all’inizio della vendemmia il passo è lungo; tuttavia un pensiero lo dobbiamo fare perché non tutto è andato bene: per le 936 aziende vitivinicole della provincia di Torino che coltivano 816 ettari di vigne si registra un calo di produzione che, a seconda delle zone e delle abilità dei produttori, varia dal 20 all’80%. Quest’anno mancherà vino! Ma la qualità sarà ottima. Morale, tra inizio scuola e inizio vendemmia? Deficitari sui numeri, forti nella qualità.