Dobbiamo dirlo con coraggio che di fronte alla morte l’approccio spirituale conta quanto le cure mediche. Quando la malattia non è più guaribile, la persona è pur sempre oggetto di cura, non per le terapie di guarigione, ma per parlare di vita e di profondo senso del tempo. Va ribadito che non è sufficiente un approccio spiritualistico o vagamente filosofico, oggi sdoganato come “sensismo delle energie positive”. Il cristianesimo si propone come salvezza dell’uomo in qualsiasi condizione ed epoca della vita, perché sorretto da una persona vivente, che convince e sa attendere al di là della nostra stessa risposta.

Il confronto con la modernità ha sovente imposto alla vita spirituale forme di riduzione intellettuale legate allo sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle acquisizioni tecnologiche, a volte trascurando, o mettendo volutamente in secondo piano, tradizioni più antiche di approccio alla vita interiore dei malati nelle situazioni di infermità, e in particolare quelle legate alla fase pre-terminale e terminale della vita.

Oggi la proposta spirituale offerta ai pazienti in una cura globale, intesa secondo l’intento delle cure palliative, può accogliere la grande esperienza e la vicinanza che il cristianesimo propone. Innanzitutto, la lotta contro il “dolore totale”, curato sapientemente con i protocolli personalizzati delle cure palliative, è la migliore proposta della compassione di cui l’esperienza evangelica afferma il primato.

Dall’alto medioevo, con camere e luoghi specifici di accoglienza per i malati, agli odierni luoghi di cura nella realtà di missione, la testimonianza dei cristiani fornisce una forza che aiuta a combattere la malattia fino alla sua ultima espressione. Sono figure gigantesche quelle dei protagonisti dell’azione medica e infermieristica nei secoli della tradizione cristiana, guarda “caso” spesso figure femminili, da Florence Nightingale a Cicely Sounders, fino alla universale cura materna di Madre Teresa di Calcutta, specie nell’attenzione ai moribondi dimenticati.

L’attenzione globale alla persona, poi, interpreta fedelmente il ruolo del medico e degli operatori sanitari in genere, secondo lo spirito missionario che ne contraddistingue la vocazione di cura del prossimo, qualunque sia il credo religioso tanto dei curanti quanto dei pazienti.

Le cure palliative si propongono non come settore confessionale, ma come luogo di confronto su una proposta di speranza globale da presentare al paziente, non per proselitismo, ma per dare la più ampia e convincente formula di significato di fronte al passaggio più difficile della nostra esistenza, quello della malattia terminale.