Inutile negare l’evidenza: c’è un importante gap di comprensione e, quindi, anche educativo, degli adulti rispetto ai social media.
Gli esiti negativi ricadono sui bambini e sul loro rapporto per lo più inconsapevole con i vari device (apparecchi o dispositivi che permettono di navigare su internet). Lo dice una recente indagine realizzata dalle associazioni di pediatri su circa 800 famiglie con figli di età compresa tra 0 e 15 anni, nell’ambito del progetto “Connessioni delicate” della Fondazione Carolina e Meta.
Alcuni dati: il 26% dei genitori permette che i propri figli utilizzino i device in autonomia tra 0 e 2 anni, percentuale che sale al 62% per la fascia 3-5 anni, all’82% nella fascia 6-10 anni e al 95% tra gli 11 e i 15 anni. Nessuno vuole demonizzare un ambiente che ormai è “abitato” da tutti. Noi compresi. Ma, proprio per abitarlo meglio, occorre promuovere regole di comportamento basiche, affinché una presenza così forte dei social non diventi sinonimo di assenza di famiglie e comunità.
Non sembra più rinviabile una sorta di patto educativo per la “cittadinanza digitale” poiché di questo mondo digitale facciamo parte da mattino a sera, ovunque. Si diceva che siamo “cittadini del mondo”; ora bisogna aggiungere – sapendo che questo mondo si è allargato all’infinito – che siamo “cittadini del mondo digitale” che ha delle implicazioni ben maggiori, nel bene e nel male. Con esso dobbiamo fare i conti, noi, i nostri figli e pure i nostri anziani che, volenti o nolenti, non sfuggono al digitale.
Per fare i conti, proprio come in matematica, necessitano delle regole. Muoversi nel digitale, usarlo per i nostri scopi, non è automatico né spontaneo. Bisogna impararlo dai professionisti. Non basta saper cosa dire, bisogna sapere come dire, perché il messaggio arrivi a destinazione. Ci vuole uno sforzo di umiltà per imparare a usare i nuovi mezzi della comunicazione, sforzo che pochi sanno e vogliono fare, dando per scontate troppe cose.
Il Messaggio della Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali del 1992 celebrava già i mezzi di comunicazione come “un dono… che facilitano, intensificano e arricchiscono le comunicazioni fra gli esseri umani”.
La potenza dei mezzi suscita però il bisogno, tra i credenti, “sia di una speciale attitudine, sia di uno speciale addestramento”, per fare in modo che anche in questi strumenti possa passare la “buona novella” da annunciare, “il messaggio di Cristo; e la loro gioia è di condividerlo, questo messaggio, con ogni uomo o donna di buona volontà che sia preparato ad ascoltare”.
C’è tanto da imparare!