Roma dista da Kiev in linea d’aria 1.676 chilometri, Tel Aviv 2.251: differenza di 575 km, non così tanti da non sentirci stretti tra due guerre – una già vicina ai 600 giorni dall’inizio e l’altra con forti probabilità di cascarci dentro a capofitto, come tanti esperti temono.
Abbiamo già avuto modo di ricordare che di guerre in giro per il mondo ce ne sono alcune centinaia; quando sono abbastanza lontane sembrano non turbare i nostri sogni e i nostri portafogli, quando si avvicinano abbiamo già sperimentato le nostre paure e i costi a cui pure noi dobbiamo far fronte, percepiamo cosa voglia dire vivere “dentro” una guerra e quali conseguenze a catena generano in un mondo globalizzato e interdipendente.
Viste da vicino capita persino che ci commoviamo davanti a morti e violenze, prima di voltare ancora pagina su argomenti meno pesanti, prima che racconti ed immagini ci riportino dentro le mura di casa ciò che sta succedendo poco fuori. L’attacco contro Israele e la reazione che ne sta seguendo, con un’escalation inimmaginabile, destano dolore e grande preoccupazione. Frasi che ripetono i governanti del mondo, senza sbagliare, ma per lo più inascoltati.
La guerra è una sconfitta, ripete il Papa, ma purtroppo la ricerca della vittoria resta ancora terribilmente affidata all’uso delle armi e nel disordine globale ora si installa l’incognita mediorientale. Un fronte altamente esplosivo, capace di attizzare il fuoco su larga scala. Proprio in quella Terra che riconosciamo “Santa” chi non vorrebbe che si sentisse il profumo della pace e si gustassero i frutti di fede, speranza, amore?
Neppure da questo conflitto in Terra Santa emergerà un popolo “vincitore” perché la storia mostra che da qualsiasi guerra i popoli escono perdenti, più poveri, più affranti. Se ci guardiamo attorno e riflettiamo un attimo non stentiamo a vederci circondati da uomini e donne, giovani e meno giovani che dalle guerre nei loro Paesi sono fuggiti, cercando pace e lavoro da noi e altrove. È il prezzo, alto, che tutti, in un modo o nell’altro, pagano quando la guerra soffoca la pace.
“In questo mese, dedicato alla preghiera del Rosario – si legge in una nota della Presidenza della Cei –, invitiamo tutte le nostre comunità a pregare per la pace affinché tacciano le armi e si convertano i cuori”. E crederci è un dovere!