È il punto in comune di due immani tragedie che si sono consumate nel giro di pochi giorni e a meno di 50 chilometri di distanza l’una dall’altra, per mano di due giovani, uno pure minorenne, armati di coltelli. Le cronache nazionali hanno ampiamente diffuso le notizie e i particolari, il che ci esonera dal ritornarci su. Sappiamo già tutto. O forse no! Qualcosa potrebbe sfuggirci – non solo delle tragedie in se stesse, ma di noi davanti a quelle tragedie –, e non sarebbe bello. Entrambi avrebbero ucciso senza un movente, cioè senza una causa diretta che li avrebbe spinti ad uccidere, cioè senza un vero e proprio motivo.

Dal punto di vista giudiziario, abbiamo sentito dai resoconti degli inquirenti, non ci sono moventi tecnicamente validi. Il che, se in qualche modo anche parziale soddisfa e quasi chiude il quadro di quanto successo, apre interrogativi giganteschi sul perché siano comunque accaduti, su cosa ci sarebbe dietro a queste esplosioni di violenza, che cosa abbia condotto questi due giovani fino a quella soglia che hanno tragicamente varcato e che peserà sul resto della loro (lunga) vita. Interrogativi che non possiamo ancora una volta bypassare e dimenticare rapidamente, quando i riflettori saranno puntati su altre vicende, nostrane o internazionali che avranno preso il sopravvento per soddisfare la nostra curiosità sempre più accesa e altrettanto capace di scrollarsi di dosso ogni cosa dia fastidio.

Immani tragedie come queste, come impattano sugli uomini e le donne di oggi, ancor più sulle nostre comunità cristiane? Cosa abbiamo pensato davanti ai racconti di questi fatti? Che giudizio abbiamo espresso? Come ci siamo sentiti chiamati in causa davanti a una macchia d’olio che si allarga? La nostra umanità cosa ha sentito, e il Vangelo che cosa ci ha suggerito? Senza movente non vuol dire senza un perché, che dal punto di vista sociologico e psicologico andrà analizzato e approfondito.

È tutto un altro paio di maniche scavare nel malessere personale, nelle difficoltà relazionali, in problemi psichiatrici e disagi vari che troppo sovente non si vedono fintanto che non esplodono, e se si vedono – e magari anche si segnalano a chi di competenza – raramente vengono curati, seguiti, accompagnati a dovere per proteggere aggressori in pectore e inconsapevoli candidati vittime. È mancato l’ascolto? Sono state fatte spallucce davanti a segnali, magari anche piccoli?

È il Codacons che chiede alla Procura di Bergamo di estendere le indagini per “capire se, alla luce di quanto riportato dai mass media, vi siano state negligenze e omissioni da parte delle autorità locali”, visto che esistevano tre denunce e segnalazioni ai servizi competenti su quel caso specifico. Che cosa allora non deve sfuggirci?

Che il disagio c’è, è trasversale ai colori della pelle, al benessere familiare, al titolo di studio e tanto altro; che noi, dei giovani abbiamo capito forse poco, o addirittura nulla, supplendo alla negligenza della comprensione con l’aver dato tutto, troppo, sempre, le tante cose materiali che solo in apparenza soddisfano. Non ci deve sfuggire che le contrapposizioni dei grandi ostacolano la genuina condivisione dei piccoli e dei giovani, che negli ambienti e comunità che ci sono care la parola d’ordine deve essere sempre l’impegno per il recupero, la cura, l’accompagnamento, cercando anche ostinatamente le ragioni fin nel profondo. Non è facile, non è neppure comodo.

Il disagio mentale in Italia cresce abbondantemente; gli esperti ci dicono che “non sempre si può parlare di veri e propri disturbi mentali, che le sensazioni di straniamento, il desiderio di provare delle forti emozioni non implicano necessariamente una patologia. Quando chi commette un delitto è il mite ragazzo del villino accanto, i nostri riferimenti vacillano, quando il dolore è esistenziale spesso mancano le parole per il conforto, viviamo una posizione scomoda dalla quale desideriamo allontanarci più in fretta possibile”.

Fare riferimento al sostegno dei servizi di salute mentale – che sappiamo essere tra i più colpiti dalla riduzione delle risorse destinate al Servizio Sanitario Nazionale, cenerentola di finanziamenti e stanziamenti, o al Terzo Settore e al volontariato, che cercano come possono di mettere sempre una pezza, per almeno contenere talune situazioni – diventa ancora più difficoltoso quando il dolore e il disagio sono quelli esistenziali, quando per un benessere individuale il pensiero va verso l’annientamento dell’altro. Anche per fare il bene ci vuole un movente. Se lo avessimo perso andrà ricercato quel qualcosa (o, ancor meglio, quel Qualcuno) che deve costantemente muoverci verso gli altri, ritrovando l’empatia e il dialogo e bandendo l’indifferenza, raccogliendo l’insegnamento di aver cura di mettere sempre l’Uomo come Creatura al centro: lui e il suo Creatore.