Un commerciante, dal suo punto di vista strettamente legato alle vendite nel periodo natalizio, notando che nella sua città c’erano ritardi nell’avviare iniziative adatte alle festività, andava dicendo che era ora di “far venire la voglia del Natale”. Perché, legittimamente secondo lui, una maggior voglia di Natale avrebbe portato a maggiori acquisti e quindi incassi.
La “voglia di Natale” in veste più ampia tocca un po’ tutti, facendo emergere in questa festa e in tante altre, religiose e non, il nostro encefalogramma sempre più piatto. Si nota una sempre maggior mancanza di voglia di festeggiare il Natale, e con essa la perdita delle tradizioni che lo accompagnano: il presepe, l’albero, i doni (e qui contribuisce in buona parte il diminuito potere d’acquisto delle famiglie), lo scambio di auguri, la partecipazione alle celebrazioni, al pranzo, all’atmosfera della festa in famiglia.
A cosa non crediamo più, se manca pure la voglia di fare festa? Perché il cuore non batte più a mille? I giorni di festa sono diventati tutti uguali gli uni agli altri, senza fremito alcuno. E seppur resistano da qualche parte certe tradizioni, esse sono vissute con peso, come un dovere cui non potersi sottrarre.
Perché pesano così le feste? Innegabile che le condizioni esterne che ci avvolgono – da quelle personali, sovente toccate da mancanza di lavoro, economie precarie, poca salute e altri guai, a quelle più generali di un mondo che pare sciogliersi tra guerre, rivoluzioni, malattie, strane politiche generatrici di inquietudini – abbassino i toni dell’entusiasmo per le feste, Natale compreso.
Ma non basta guardare fuori da se stessi per trovare una giustificazione soddisfacente. Va fatta un’operazione interiore coraggiosa, alla ricerca dei significati veri e profondi, che forse abbiamo perso per strada, circa le cose che impattano sulla nostra vita.
Quando si perde l’originalità del significato e del senso delle cose più intime dell’essere uomo e donna, quelle stesse cose escono pian piano dalla vita, generano il vuoto attorno a cui oggi giriamo, per lo più immusoniti, togliendoci la capacità di capire cos’è festa e di goderne pienamente.
Ostinatamente il Natale resisterà all’opera distruttrice di cui siamo capaci; ci sarà un altro Natale e un altro ancora e ancora e ancora… “Finché esisterà il Natale ci sarà speranza, e finché ci sarà speranza ci sarà futuro”, quando ricomparirà ancora la voglia della (vera) festa.