I tristi fatti di cronaca degli ultimi tempi, femminicidi in testa, ci stanno facendo capire che – forse – abbiamo un problema educativo. E non da oggi.
Il primo, fondamentale nucleo educativo è la famiglia. Ma la famiglia, a volte, non ce la fa: non ha la forza, non ha gli strumenti, non ha la lucidità. Ed è qui che entra in gioco la scuola. Che, per patto educativo, dovrebbe sopperire a quelle mancanze.
È proprio nella scuola che bisognerebbe allora individuare le possibili cause sociali di certi delitti efferati. Nell’educazione che i giovani hanno ricevuto – o meglio, non ricevuto. Perché l’idea di Lombroso, quella dei criminali genetici con tratti somatici particolari, è passata di moda da un pezzo. Non è genetica: è educazione.
Serve educazione affettiva. Quella vera. Quella che insegna a stare nelle relazioni, a riconoscere i limiti, a rispettare sé stessi e gli altri, a gestire la fisicità, a non assolutizzare le situazioni, a non esplodere quando qualcosa finisce. Perché se è vero che un liceo dovrebbe formare persone in grado di risolvere impeccabilmente funzioni logaritmiche complesse, è molto più importante – e urgente – che formi persone affettivamente stabili, mature, equilibrate.
Per non parlare delle realtà a noi vicine – che poi, appena dici qualcosa, subito qualcuno si offende –, ho fatto una telefonata intercontinentale. Ho chiamato un mio amico, che è stato per anni preside di una scuola cattolica in Galilea. Gli ho chiesto se da loro si facesse qualcosa a livello affettivo. Mi ha risposto: “Sì, certo”. È un’attività considerata fondamentale, che portano avanti con i ragazzi di 14 -15 anni, affiancati da professionisti: assistenti sociali e psicologi. Mi ha spiegato che si lavora sul rispetto del proprio corpo, degli altri, delle relazioni, degli equilibri. E poi mi ha detto una cosa che mi è rimasta impressa: “Quando ami devi saper rispettare. Se non rispetti, non stai amando. E tu vuoi amare”.
Mi ha colpito una cosa: queste attività le fanno da una decina d’anni, in modo costante. Non solo perché servono, ma perché sono nate ascoltando le richieste dei ragazzi stessi. E, ricordiamocelo, stiamo parlando di una scuola cattolica. Alla faccia del pregiudizio per il quale “la Chiesa è misogina, maschilista, le donne non valgono niente”. E pensare che a me, a scuola – rigorosamente statale – gli assistenti sociali insegnavano solo come usare un preservativo. Che squallida tristezza.
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