Il Senato, in prima lettura, ha approvato il disegno di legge governativo per l’introduzione del “premierato elettivo”; ma il cammino della riforma costituzionale appare in salita per i dubbi all’interno della maggioranza sul percorso parallelo della proposta Calderoli sulle autonomie regionali (approvata alla Camera, in via definitiva); i Governatori forzisti del Sud (Occhiuto – Calabria, Schillaci – Sicilia) sono critici; ma il vero nodo permane l’assenza di risorse: già oggi nel bilancio statale 2025 mancano 23 miliardi; come recuperare finanziamenti per garantire al Sud i livelli essenziali di prestazione?

Sul premierato elettivo forte è la contestazione della società civile: la senatrice Liliana Segre ha raccolto le firme contrarie di 180 costituzionalisti, mentre si susseguono manifestazioni di piazza. Il previsto referendum popolare si presenta arduo per la Meloni e potrebbe slittare al 2027, dopo le politiche.

Un “colpo” inatteso al “premierato elettivo” è giunto dal francese Macron: il modello parigino dell’uomo solo al comando è stato travolto nel voto europeo, con l’ascesa della destra di Marine Le Pen e la flessione del partito presidenziale al 15%; ora la Francia va ad elezioni politiche anticipate con una spaccatura verticale del Paese. Diversamente la Germania, con un sistema parlamentare, ha retto la sconfitta del governo Scholtz senza drammi. Il modello presidenziale, bipolare, della riforma italiana resterebbe l’unico in Europa dopo la caduta di Macron. Per avere una conferma dovremmo guardare agli Stati Uniti, alla sfida Trump-Biden. Ma la crisi in atto della democrazia Usa dovrebbe far riflettere, anche perché – come ricorda spesso Sergio Mattarella – la nostra Carta ha retto dal dopoguerra ad oggi in tutte le condizioni, anche difficili, dalla ricostruzione post-bellica alla sfida del terrorismo, dallo sviluppo industriale a Tangentopoli sino alla crisi finanziaria mondiale del 2008.

Il Governo ha poi un altro ostacolo da affrontare: la difficile trattativa con Bruxelles per il nuovo Esecutivo europeo, dove la Meloni rischia l’isolamento, nonostante il buon esito del G7 in Puglia, per l’autosufficienza politica e numerica di Popolari, Liberali, Socialdemocratici e Verdi.

Nel campo dell’opposizione emerge invece “l’implosione” di Grillini e Centristi dopo la débacle elettorale: il fondatore del M5S ha pubblicamente ironizzato sull’ex premier Conte, affermando che “Berlusconi da morto ha preso più voti” del leader pentastellato. L’amara ironia di Grillo accompagna le critiche al “campo largo” dell’ex sindaca di Roma, Raggi (sulla linea Appendino, che in Piemonte ha rifiutato intese con il Pd); una parte rilevante del Movimento vuole andare “da solo” (emblematica la linea del “Fatto quotidiano”, sempre critico con i Dem); Conte ha replicato ai contestatori annunciando per settembre gli Stati generali del Movimento; ma il dualismo con Grillo rischia di paralizzare i Pentastellati e di rendere ancora più difficili i rapporti con la Schlein.
Buio pesto anche nel campo centrista, ove si susseguono – invano – gli appelli alla riconciliazione tra Renzi e Calenda: come “traghettatore” era stato proposto l’ex segretario della Margherita, Rutelli, che ha tuttavia rifiutato (tra l’altro non sarebbe gradito alla Schlein).

La crisi di Grillini e Centristi è un obiettivo ostacolo al cammino dell’opposizione e un “regalo” alla Meloni; ma – come ha scritto Massimo Cacciari – l’unità del centro-sinistra non può limitarsi a cantare “Bella ciao” nelle aule parlamentari.

Occorre una precisa scelta programmatica, a cominciare dalla scelta tra riformismo e radicalismo, tra solidarismo e liberismo, tra la stagione dei diritti e quella, alternativa, dei “diritti e doveri”. In politica estera è doveroso chiedere in Medio Oriente “due popoli due Stati”; analogamente nel cuore dell’Europa è opportuno auspicare un passo indietro verso la pace sia a Zelensky sia a Putin, come avvenne negli anni sessanta con la crisi dei missili a Cuba, con Kruscev che lasciò l’isola caraibica e Kennedy che rinunciò alle installazioni in Turchia contro Mosca.

L’elettorato, che al 51% ha disertato le urne, chiede alle forze politiche programmi precisi e concreti, meno fumosi del “premierato elettivo” e del “campo largo”.