Martedì 28 febbraio si è celebrata la Giornata Mondiale delle Malattie Rare: un modo per parlarne, per sensibilizzare, per fare le giuste pressioni affinché vi siano chiare strategie per far avanzare la ricerca e per prendere in carico chi ne soffre, con conseguenti pesanti danni e limitazioni della propria vita.

La malattia rara non è riconosciuta da tutti; inoltre può rimanere silente per anni e poi manifestarsi all’improvviso, cambiando totalmente la vita di una persona e di tutta la sua famiglia.

Le malattie rare hanno nomi strani, brutti: epidermolisi bollosa, aceruloplasminemia congenita, pachidermoperiostosi, paraparesi spastica… e tante altre. Fanno subito pensare a qualcosa di grave. Ci sono 2 milioni di persone che vivono con malattie rare e dei 3 milioni e 700mila malati di cancro, 900mila sono malati rari, questo tanto per comprendere la portata del problema.

Le malattie rare sono tali perché colpiscono non più di 5 persone su 10mila. Quattro anni è il tempo che ci vuole, in media, per arrivare alla diagnosi di una delle 10mila malattie rare ad oggi conosciute. L’Italia tuttavia ha maturato competenza nella diagnosi e nella cura delle malattie rare tanto che nel quinquennio 2016-2021 ha avuto più di 7mila ingressi di persone di altri Paesi, mentre dall’Italia si sono spostate all’estero in cerca di cure solo 180 persone.

A fronte di tanta eccellenza però ci sono ancora troppi ostacoli che i malati rari incontrano. Uno di questi è relativo ai farmaci. Dopo la diagnosi ci sono le cure che non sempre e non tutte sono riconosciute e sostenute dal sistema sanitario nazionale e, sebbene per i malati con una malattia rara si debba produrre un percorso diagnostico terapeutico personalizzato, alcuni prodotti che devono essere usati sono di categoria “C” e dunque il costo risulta essere totalmente a carico del malato.

Il grande lavoro a beneficio di chi soffre di malattie rare lo fanno le associazioni, spesso costituite da genitori o persone affette da una patologia rara che hanno cercato di dare voce a tanti malati che hanno bisogno speciali e che per troppo tempo non sono stati riconosciuti come tali da nessuno. Spesso chi assiste un malato raro non spera solo nella cura: spera soprattutto di riuscire a resistere, giorno dopo giorno, con forze economiche e psicologiche sufficienti a far fronte al dramma della malattia e a poter gioire, di una felicità infinita, per ogni conquista realizzata, perché i malati rari hanno una altrettanto rara voglia di vivere.

Sul sito Salute & Benessere dell’Agenzia ANSA troviamo quanto dichiarato da Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio malattie rare (Omar): “Il recente via libera al Piano nazionale malattie rare 2023-2025 rappresenta un passo enorme perché punta a migliorare l’accesso alle terapie, superare le disuguaglianze regionali, sfruttare efficacemente le reti, dare piena attuazione alla Legge per la cura delle malattie rare e per il sostegno della ricerca e della produzione dei farmaci orfani. Tuttavia manca ancora l’approvazione da parte della Conferenza delle Regioni e ci auguriamo che ci sia presto un decreto per adeguati finanziamenti”.

Ad oggi, “l’ostacolo più grande resta comunque la diagnosi: per questo – rileva Bartoli su ANSA – lo screening neonatale per l’individuazione precoce di tali malattie è essenziale e va ampliato e rafforzato su tutto il territorio nazionale. Ad oggi vengono ricercate 48 malattie rare. La legge prevede un aggiornamento delle malattie per lo screening neonatale ogni due anni, ma la lista non è aggiornata dal 2016 e nel frattempo almeno altre 10 patologie rare hanno raggiunto i criteri per poter essere inserite, tanto che alcune Regioni le hanno incluse, a partire dalla Sma, ma si creano così forti differenze territoriali che vanno risolte”.