Nella legge finanziaria attualmente in discussione in Parlamento il Movimento 5Stelle ha presentato un emendamento con cui si sentenzia l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria. In pratica si vogliono tagliare completamente, da gennaio 2020, li fondi stabiliti a legge n.70/2017 che deve ancora dare i primi benefici, essendo entrata in vigore soltanto dal 1° gennaio 2018 e in virtù della quale molti giornali (incluso Il Risveglio Popolare) avevano fatto investimenti sul personale, sulla struttura e sugli strumenti di lavoro.Il sostegno pubblico all’informazione è questione che torna ciclicamente alla ribalta. Sono quasi 40 anni che in Italia ci sono leggi che riguardano questo comparto: varie le forme di contributi (diretti, indiretti o tutti e due insieme) si sono succedute negli anni, come pure i beneficiari. Diverse ora le posizioni sulla loro legittimità o meno: gli argomenti di chi li ritiene necessari si possono, semplificando, riassumere nella difesa della pluralità delle informazioni e delle opinioni, nella conseguente tutela dei giornali più piccoli e nel riequilibrio di una disparità che deriva dagli investimenti pubblicitari. Chi invece vuole abolirli (in particolare il Movimento 5 Stelle) sostiene che è un costo troppo oneroso per lo Stato e che il finanziamento non rende libera ma anzi condiziona l’informazione.

Per fare un po’ di chiarezza, va detto che esistono due tipi di finanziamento all’editoria: i contributi diretti (distribuiti in base a vari criteri e di cui possono usufruire solo alcuni giornali) e quelli indiretti (a cui possono avere accesso un ampio raggio di testate) che riguardano agevolazioni fiscali, telefoniche, postali: la loro abolizione è già stata inserita nel documento di bilancio e comporterà un risparmio per lo Stato di circa 32 milioni di euro.

I contributi diretti (complessivamente poco più di 50 milioni di euro) sono regolamentati dalla legge n. 70/2017, entrata in vigore quest’anno. Una buona legge, sofferta (ci sono voluti più di tre anni per scriverla), che fa chiarezza, dopo molti anni, su chi può prendere i contributi pubblici: cooperative di giornalisti, enti senza fini di lucro, quotidiani e periodici delle minoranze linguistiche, per gli ipovedenti e giornali diffusi all’estero. Aboliti tra i possibili beneficiari i giornali di partito, mentre i più grandi e popolari quotidiani e periodici non ci sono mai stati. Secondo la nuova legge, l’ammontare del contributo all’editoria dipende dal numero di copie realmente vendute e dal numero di giornalisti assunti. Cambia il concetto di sostegno, da contributo a pioggia a “fondo per il pluralismo”.

Per la Fisc, che edita circa 190 settimanali diocesani su tutto il territorio nazionale “l’azzeramento del fondo spegnerebbe la vitalità culturale che i settimanali garantiscono nelle aree in cui sono diffusi, oltre ad arrecare un danno sostanziale al sistema democratico nel suo complesso”.

Chiara Genisio (AGD)