Il voto regionale in Emilia-Romagna e Umbria ha ampiamente premiato la coalizione di centro-sinistra; la Corte costituzionale ha azzerato la riforma Calderoli sull’autonomia regionale differenziata.

A Bologna era scontata l’elezione a Governatore del sindaco Pd di Ravenna Michele de Pascale, che ha staccato di 16 punti la candidata “civica” del centro-destra Elena Ugolini. La sorpresa è giunta piuttosto da Perugia con la vittoria della sindaca di Assisi Stefania Proietti, cattolica ambientalista, che con una lista “civica” sostenuta dall’intero “campo largo” ha prevalso sulla presidente uscente Donatella Tesei, leghista.

Nel centro-sinistra al trionfo dei Dem e della segretaria Schlein fa da contraltare il tracollo amaro dei Pentastellati, che hanno raccolto consensi sotto il 5% (come recentemente accaduto in Liguria), acuendo l’oggettiva difficoltà del leader Conte ad affrontare domenica prossima, nell’Assemblea Costituente del Movimento, la sfida del fondatore Beppe Grillo.
Sul fronte opposto, il centro-destra paga le crescenti difficoltà di governo accentuate dalla forte spinta a destra della Lega, la più punita dal voto. Salvini e Tajani litigano su tutto, dal bilancio statale 2025 alla Rai, dalle ingerenze di Musk (favorevole la Lega, contraria Forza Italia) alla scelta tra sovranismo ed europeismo; la posizione “attendista” della Meloni non ha favorito il centro-destra.

A far esplodere le contraddizioni all’interno della maggioranza è stata poi la sentenza della Consulta che ha annullato 7 disposizioni su 11 della riforma Calderoli, mettendo fuori gioco la riforma-principe chiesta dalla Lega. La Corte ha recepito la critica essenziale avanzata da molte parti, tra cui la CEI: Calderoli ha violato il principio di unità del Paese, i doveri di solidarietà, il criterio della sussidiarietà, in altre parole l’eguaglianza effettiva di tutte le Regioni, ovvero di tutti gli italiani. Secondo il ministro della Giustizia Nordio la sentenza rende superfluo il previsto referendum; Forza Italia è d’accordo, la Lega intende procedere come se non fosse successo nulla, mentre la Meloni prende atto dello stop, che si unisce al tacito blocco dell’altra riforma istituzionale, il premierato elettivo. Nel frattempo continua ancora il “braccio di ferro” con i magistrati sulle norme per i migranti: guardando al voto regionale, la campagna sfrenata contro i profughi non è stata premiata dall’elettorato, anzi.

Nel voto emiliano un bolognese d’eccezione come il professor Romano Prodi aveva lanciato l’allarme sui seggi elettorali semivuoti e sui rischi seri per la vita democratica. Il padre dell’Ulivo aveva visto giusto: nella Regione “rossa” la maggioranza degli elettori non è andata a votare (il 54%), con una flessione di ben 21 punti sulla precedente consultazione. Ha certamente influito la “rabbia” per le alluvioni, ma in un’area delle forti tradizioni repubblicane il fenomeno dell’astensione massiccia assume ancora maggior rilievo. Alcuni esperti hanno tentato una divisione sociologica dell’elettorato: alle urne sarebbero andati i “fedeli” dell’apparato partitico o i simpatizzanti mentre a casa sarebbero rimasti i sostenitori del voto d’opinione. Altri studiosi si sono chiesti se l’astensione significhi disaffezione o non sia piuttosto la richiesta di una nuova offerta politica, ritenendo insufficiente lo schema bipolare destra-sinistra di stampo americano.

È un tema che merita un adeguato approfondimento, anche dai media e non solo dai partiti o dalle forze sociali. Prima del voto, parlando a Torino, il cardinal Ravasi aveva fornito un’interpretazione etico-politica che merita attenzione, auspicando anziché una politica urlata e faziosa, un impegno concreto per il bene del Paese, pur nel rispetto delle diverse collocazioni istituzionali, con la priorità alle vere emergenze sociali, culturali, esistenziali.