Sembrava destinata a srotolarsi sine die la rassegnata mestizia che solitamente accompagnava il ricordo del tragico vissuto delle genti istriane, fiumane e dalmate che, pur se lontano decenni, non può non continuare a far male.

Perché non solo provato, ma anche rimasto per troppo tempo sconosciuto, o compresso dall’oblio, se non addirittura sottovalutato.

Mi torna alla mente la meravigliata espressione dello studente che, nell’apprendere le vicende riportate nelle mie interviste agli esuli giuliano dalmati nel mondo, usciva con un: “Ma a noi a scuola di questo non hanno mai parlato!”.

Osservazione che si accompagnava a quella di altra persona intervistata, che si definiva vittima di una politica sbagliata.

O all’amara constatazione di un’esule: “L’Italia ha perso la guerra, ma perché deve riscattare il debito bellico con le nostre cose, con le nostre vite?”.

L’istituzione del Giorno del Ricordo nel 2004 diede avvio ad una grande svolta.

Ma cos’è il 10 febbraio? Era la diffusa curiosità, per troppo tempo risuonata nel nostro Paese, spesso frutto di un’incolpevole ignoranza, conseguente però ad una colpevole disinformazione.

Pur parte integrante della nostra storia nazionale, per troppo tempo la ricorrenza è stata relegata fra le pieghe della storia, sconosciuta o ignorata da tanta parte degli Italiani.

Finché si giunse all’istituzione della solennità del Giorno del Ricordo, con la Legge 30 marzo 2004, n. 92.

Un po’ alla volta, in quasi tre decenni, si è incominciato a sapere che la data coincide con quella del Trattato di Pace di Parigi, sottoscritto appunto il 10 febbraio 1947, con l’alto prezzo dell’esito bellico addebitato alla Venezia Giulia ed il dramma vissuto dalle genti Istro-Dalmate Quarnerine.

Fin da subito, l’uscita dal tunnel bellico si era rivelata particolarmente anomala e faticosa per la Venezia Giulia: con i territori dell’Adriatico Orientale teatro di una copiosa serie di fatti e misfatti, avvenuti in stridente contrasto con i festeggiamenti delle altre regioni italiane, dove si celebrava la fine del conflitto mondiale; con l’amputazione di quasi tutto il territorio che l’aveva connotata fino a quel 10 febbraio 1947, quando l’Italia dovette cedere al governo di Tito Dalmazia, Fiume e Istria.

Fu un dopoguerra lunghissimo, che originò un dramma in due tempi ed infiniti quadri, vissuto e subìto dalle nostre genti, costrette alla fuga dai luoghi, che le firme di Parigi avevano sentenziato non essere più casa loro.

Tasselli di una sorta di immenso puzzle – dapprima sconvolto dai venti di guerra e poi spazzato dalle clausole del trattato di pace – frequentemente vittime di una situazione persecutoria, pagarono lo stravolgimento di equilibri e confini, da cui conseguì una diaspora di 350.000 persone: cittadini italiani, improvvisamente privati di casa e nazionalità, con il disconosci[1]mento della loro identità italiana e la nazionalizzazione dei loro averi, si trovarono nelle condizioni di doversi staccare dalle proprie radici, spesso – loro malgrado – disperdendosi un po’ in tutto il mondo.

A cominciare dai circa 109 campi profughi sparsi in tutta Italia.

La solennità civile del Giorno del Ricordo ha contribuito al processo di diffusione della conoscenza di tale dramma, per troppo tempo rimasto in attesa di riconoscimento e di dignitosa classificazione nella storia.

In maniera esponenziale, di anno in anno la ricorrenza acquista visibilità ed attenzione, seppur fra luci e ombre, fra la patina tolta alla memoria e quella che immotivatamente qualcuno vuole ancora conservare; un cambiamento ovunque percettibile, che sta in qualche modo riparando la forzosa chiusura del sipario della storia, per troppo tempo rimasto calato.

È in crescendo la copertura mediatica attorno alla solennità della ricorrenza, con un apprezzabile susseguirsi di conferenze ed occasioni di incontro, che stanno dando la dignità del ricordo ad una tragedia ingiustamente sia subita che tenuta nascosta o ignorata.

Istituzionalmente una cerimonia, al di là dei parametri organizzativi previsti dal cerimoniale, la celebrazione del Giorno del Ricordo, con la partecipazione e gli interventi delle massime cariche istituzionali dello Stato, ha avviato un nuovo capitolo sulle tante storie rimaste fuori dalla storia, contribuendo in pochi anni a far aumentare la consapevolezza dell’esodo e delle foibe nella popolazione italiana.

Ma purtroppo non ancora in tutti.

Viviana Facchinetti (Direttore de l’Arena di Pola)

Redazione Web