(Editoriale)

Nell’intera giornata di martedì si è svolto ad Ivrea un convegno che ha presentato il progetto Yes, I start up, con relativo finanziamento, per la formazione dei giovani che li porti ad aprire una nuova attività professionale. Ne scriviamo ampiamente alla pagina 3 di Primo Piano.

Quella giornata ha messo tanta carne al fuoco, persino troppa, ma è comprensibile, quando si crede in qualcosa di buono e si vuole che anche gli altri ci credano, lo divulghino e i potenziali beneficiari si accostino per aderirvi. Quella giornata è stata ricca di slogan, input, frasi brevi ma significative, parole-chiave, affermazioni capaci di colpire i presenti.

Al centro della giornata, perché al centro del progetto, ci stavano i giovani e, soprattutto negli interventi del pomeriggio, molto è stato detto sul loro conto e sul loro rapporto con la famiglia, la scuola, il lavoro, la società. Un modo di scandagliare l’universo dei giovani e validare l’idea che il mondo del lavoro di oggi è molto diverso da quello dei loro genitori, i lavori cambiano – alcuni vanno in archivio e nuovi si affacciano – la ricerca di competenze si fa più specifica, al punto che sovente va a vuoto.

Abbiamo scorto anche due modi di vedere i giovani di oggi; meno intraprendenti, più viziati, dipendenti dai genitori, con poche idee, appiattiti sulle difficoltà, meno disponibili a correre dei “rischi” imprenditoriali e meno propensi ai sacrifici. In qualche modo responsabili in primis del loro status anche di disoccupati. E dall’altra, giovani presentati in qualche modo “vittime” di genitori non all’altezza, umiliati da lunghi tirocini gratuiti o da contratti con remunerazioni discutibili, circondati da un mondo arretrato e tanta burocrazia scoraggiante.

Possiamo dunque prendercela con questi giovani? Alla proposta della formazione abbiamo sentito abbinare la necessità di dare dei valori. La formazione al lavoro – e l’educazione, in generale – è come la semina di cui abbiamo scritto la settimana scorsa in questo stesso spazio, a cui aggiungiamo oggi un pensiero del cardinale Carlo Maria Martini: “educare è come seminare; il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto”.

I giovani, più o meno responsabili che siano del loro status davanti al mondo del lavoro, sono comunque il terreno per la semina a cui aspirano e che attendono, anche quando ce ne accorgiamo di meno.