Dopo la sconfitta alle politiche il Pd, primo partito dell’opposizione, sceglie domenica con le primarie il successore di Enrico Letta: il voto dei Circoli ha indicato ai gazebo Stefano Bonaccini, Governatore dell’Emilia-Romagna, ed Elly Schlein, parlamentare. Bonaccini propone una linea “laburista” e riformista, la Schlein una sinistra “ecologista e femminista”; il Governatore indica un quadro politico del centro-sinistra dal Terzo Polo al M5S, la parlamentare una netta opzione di sinistra, radicale, senza i centristi. Dalla sua Schlein ha i componenti di Articolo 1 (Speranza e Bersani, da poco rientrati nel Pd), con il presidente emiliano sono schierati la maggioranza dei Ds (da Fassino a Chiamparino) e dei Popolari (da Castagnetti a Delrio), con molti amministratori locali. Sul piano governativo Bonaccini sceglie un’opposizione costruttiva e istituzionale alla Meloni, con la priorità ai temi programmatici; la Schlein una proposta intransigente di alternativa.

Il rischio per il Pd è quello di darsi un segretario “dimezzato”: dipenderà molto dalla partecipazione popolare alle primarie; l’obiettivo è quello di un milione di persone. In ogni caso il risultato sarà rilevante per l’intero schieramento politico: nel centro-sinistra sia i Pentastellati, sotto attacco per il superbonus edilizio, sia Azione-Italia Viva sono costretti a uscire dallo “splendido isolamento”, soprattutto dopo il voto negativo a Roma e Milano; nei Centristi Calenda spinge per formare subito il “partito unico”, ma Renzi è cauto, molto insoddisfatto dalle elezioni regionali (contava molto sul voto lombardo per la Moratti). E anche la proposta di unione con i Radicali lascia perplessi i Renziani, in considerazione delle divergenze programmatiche.

Nel centro-destra la linea Schlein darebbe ulteriore spazio ai fautori dello scontro destra-sinistra (pensiamo alla vicenda Donzelli-Delmastro, con il durissimo attacco al Pd a Montecitorio; peraltro il fondatore di Alleanza Nazionale, Fini, ha sconfessato i due parlamentari di FdI parlando di “comizio in piazza”).

Ma le scelte più recenti in politica estera e in politica economica di Giorgia Meloni, come ha detto Enrico Letta al New York Times, vanno in altra direzione. Diversamente dalla campagna elettorale, sta prevalendo un indirizzo di accordo con l’Europa, nonostante le critiche di Salvini e, soprattutto, di Berlusconi. Smentendo il Cavaliere, la premier è andata a Kiev per riaffermare il pieno sostegno dell’Italia all’Ucraina, nella linea tracciata dal Governo Draghi, secondo le raccomandazioni del Presidente della Repubblica.

Paradossalmente la Meloni, già leader dell’opposizione, sta seguendo Draghi anche nel rispetto degli obblighi finanziari con Bruxelles e Francoforte, tenendo conto del forte indebitamento dell’Italia, fanalino di coda, con Atene, nella UE. In questo contesto si colloca la drastica e discussa decisione di fermare il superbonus per l’edilizia, salvo alcune eccezioni. L’onere finanziario è stato ritenuto incompatibile con la tenuta della finanza pubblica, anche se la misura costituisce un grave problema per migliaia e migliaia di famiglie e piccole imprese, a rischio fallimento.

C’è un forte cambio di marcia tra le promesse nella fase dell’opposizione e le scelte concrete nell’ora del governo; d’altra parte la prossima revisione europea del “patto di stabilità” non consente molti margini a Palazzo Chigi, qualunque sia l’inquilino. Il quadro politico, al governo e all’opposizione, si muove quindi nell’ottica delle scelte europee; non ci sono peraltro in vista scadenze elettorali importanti, prima del maggio ’24 per il Parlamento europeo.

Tutte le forze politiche sono chiamate in questi mesi a una rivisitazione dei ruoli e dei programmi, anche per rispondere alla grave sfida dell’astensionismo che ha toccato entrambe le coalizioni. La priorità dei temi della guerra e della crisi economica (il Pil, quest’anno, è previsto poco sopra lo zero) sembra attenuare la spinta per le riforme istituzionali: per l’autonomia regionale differenziata… “non c’è una lira”, pensando agli impegni per l’energia e ai vari bonus; per il presidenzialismo manca una maggioranza qualificata alle Camere, visto il “no” dei Centristi; peraltro il presidente Mattarella gode di un vasto sostegno popolare in Italia e di un largo credito nelle Cancellerie, non solo europee.

Indebolite dall’astensionismo, le forze politiche possono recuperare il ruolo centrale del Parlamento, con una discussione costruttiva.