I cicli della politica sono divenuti molto brevi: nel 2018 e nel 2019 (politiche ed europee) Grillini e Lega ottennero rispettivamente oltre il 30% e il 20% dei voti e formarono il primo governo della nuova legislatura (il Conte uno, con Salvini e Di Maio vice-premier); oggi entrambe le formazioni ottengono risultati ad una cifra e sono colpiti da forti contrasti interni.

Esplosivo nei Pentastellati appare lo scontro Conte-Grillo, l’uno ex premier e l’altro fondatore del movimento. Conte vuole superare la fase populista (il famoso “vaffa” di Grillo a Milano, nel 2009, contro tutti i partiti e le forme istituzionali), ritiene conclusa la fase della protesta indiscriminata, vuole la trasformazione del Movimento in partito organizzato con una collocazione nell’area progressista ma senza sudditanza verso il PD; in politica estera ha una linea sostanzialmente “neutralista”: non ha scelto tra Biden e Trump, critica l’aggressione russa a Kiev ma è contrario al sostegno armato all’Ucraina, è morbido verso la Cina con cui aveva aperto la “via della seta”.

Il referendum tra gli 89mila iscritti al M5S ha decretato la fine dell’era Grillo, abolendo la figura del Garante che ha reagito in modo drammatico, imponendo la ripetizione del voto on-line (ai sensi dello Statuto). Conte ha dovuto adeguarsi, convocando nuove elezioni per l’8 dicembre: dicendosi certo di una nuova vittoria. In ogni caso un partito che nasce spaccato, con l’ex premier che punta a recuperare con il voto degli astensionisti. Il rapporto con il “campo largo” non sarà facile, perché da un lato permane il “no” ai Centristi di Renzi, dall’altro c’è con il PD un rapporto di alleanza-competizione, senza l’obbligo di accordi ad ogni costo (con la spina nel fianco del “Fatto Quotidiano”, il giornale-amico molto critico con i Dem).

La segreteria Schlein ha seguito con interesse, ma senza interferenze, la svolta di Conte. I problemi piuttosto sorgono dall’interno, non sopiti dal successo elettorale nelle recenti regionali. Romano Prodi, pur lieto del risultato, ha detto apertamente che la rinascita della Quercia (il simbolo elettorale del Pds dopo la scelta di Occhetto di abolire il PCI) non è sufficiente a sconfiggere il governo Meloni; occorre l’apertura all’area riformista e moderata, come avvenne con l’Ulivo che vide la fusione di Ds e Margherita (con Popolari, Verdi, liberaldemocratici).

Il tema è di calda attualità, anche con “provocazioni esterne”: il direttore de “Il Fatto” Marco Travaglio ha avanzato l’ipotesi di una candidatura Gentiloni, ex Commissario UE, alla segreteria o presidenza del Pd (ma l’interessato ha smentito). In ogni caso sorprende il “silenzio” della componente riformista e cattolico-democratica: prepara con Prodi nuovi equilibri o è rassegnata ai “cespugli della Quercia”?

Nella maggioranza domina la scena l’irrequietezza della Lega, a ruota libera sui principali temi: contro la Commissione UE della Von der Leyen (quindi anche contro il commissario Fitto, meloniano), contro l’arresto di Netanyahu da parte della Corte Europea, contro l’Opa di Unicredit sul BPM, contro lo sciopero generale di Cgil e Uil nei trasporti…

Forza Italia è ai ferri corti con l’alleato di governo ed invoca la mediazione della Meloni. Ma i problemi maggiori per Salvini giungono dall’interno: da un lato il generale Vannacci spinge per una collocazione ancor più a destra; dall’altro i Governatori del Nord (in primis il veneto Zaia) chiedono una svolta politica, con la priorità al territorio anziché alla collocazione internazionale (sovranista).

Un dibattito importante si è aperto anche in Fratelli d’Italia: il ministro per i rapporti con il Parlamento, Ciriani, ha proposto di togliere la “fiamma” dal simbolo del FdI, ovvero di recidere il legame politico con il MSI di Giorgio Almirante. In concreto la linea di un partito Conservatore, come da tempo chiede il ministro Crosetto, senza legami con il post-fascismo. Assolutamente contrario il presidente del Senato La Russa, difensore della “fiamma” e del suo significato ideologico.

Tra queste due tendenze non si esprime la premier, anzi le mantiene entrambe: da un lato alleata con la Popolare e centrista Ursula Von der Leyen, dall’altra “abbracciata” al leader della destra argentina, il neo-presidente ultra-capitalista Milei. Anche per la Meloni, tuttavia, giungerà presto il tempo delle scelte, per le novità del “terremoto Trump”.

In concreto i due Poli, sia pure in modo diverso, sono entrambi in fibrillazione.

Il voto e gli equilibri delle politiche del settembre 2022 appaiono lontani ed è già cominciata la ricerca di nuove condizioni: emblematico lo scontro sulla Rai nel varo della Finanziaria 2025, come segno della priorità del potere mediatico.