Morte e vita sono in potere della lingua” (Pr 18,21). L’odierna pagina evangelica (Lc 6,39-45) focalizza nuovamente l’attenzione di Gesù verso i discepoli, i “voi che ascoltate” di Lc 6,27. Luca riunisce qui detti e parole di Gesù che nel vangelo secondo Matteo hanno differenti collocazioni, rendendoli tre brevi insegnamenti, diretti ed efficaci.
Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” (vv. 39-40). Mentre nel racconto di Matteo l’espressione aveva un esplicito riferimento ai farisei del suo tempo (cfr. 23,16), per Luca il paragone è diretto ai discepoli di tutti i tempi, anche ai “maestri” di oggi. Quanta attualità nelle parole dell’allora Cardinal Ratzinger, nell’omelia del 18 aprile 2005: “Il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni”, anche se conduce ad un’autentica cecità spirituale.
Come ricorda Papa Francesco: “una guida non può essere cieca, ma deve vedere bene, cioè deve possedere la saggezza, altrimenti rischia di causare dei danni alle persone che a lei si affidano” (Angelus, 3/03/2019).
Gesù si presenta dunque, per la terza domenica, come Modello e Maestro, e invita a seguire la sua condotta e i suoi insegnamenti.
La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 6,45). L’espressione ha uno sfondo veterotestamentario: “Quando si scuote il setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti” (Sir 27,4). La parola, la verbosità, rivela il cuore ipocrita (hypokritès – la maschera del teatro greco) dell’uomo, spesso permeato da mancanza di umiltà e privo di vitalità: “coloro che sono mossi da ipocrisia potranno forse ottenere il rumore dell’orazione ma non la sua voce, perché in essi manca la vita” (Sant’Agostino, Enarrationes in Psalmos, 139, 10).
Il discepolato che Gesù propone passa attraverso l’esperienza del sentirsi fratelli (adelphos – nati dallo stesso grembo), figli di un unico Padre che è nei cieli, senza elevarsi al di sopra degli altri, consapevoli dei propri limiti: “Tutti abbiamo difetti: tutti. Dobbiamo guardare noi stessi dentro. Possiamo così agire in modo credibile, con umiltà, testimoniando la carità”. (Angelus, 3 marzo 2019).

Lc 6,39-45

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo,
né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono.
Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male:
la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».