(Fabrizio Dassano)

Lunedì sono andato in un grosso supermercato del mobilio perché mio figlio ha deciso di cambiare la cucina. E siccome devo pagarne i tre quarti vado a fare tutto l’iter. In realtà, avevamo provato ad andare in un “cucinificio” più locale, ma per tempi e modalità l’impresa appariva più difficile che essere ricevuti da un sottosegretario di un ministero romano.

Comunque, arrivati sul luogo, è tutto un altro mondo: tanti giovani, mano nella mano, che sognano sugli ambienti creati ad arte per trasformare un monolocale in una reggia. Risalita la corrente sino al settore cucine, non c’è che sbizzarrirsi tra i modelli “helsenke” o “grafzwuerlde”; alla fine chiediamo a qualcuno dove trovare il “frangaffert zirmullanka”.

Ci fanno vedere un’isola di computer e una fila come ai tempi della tessera annonaria. Mio figlio ed io ci guardiamo: ci saranno almeno dodici coppie in coda. Ci avviciniamo e ci dicono che non c’è alcuna possibilità entro le 22. Però ci prendono un appuntamento per l’indomani alle 18.

Mettersi in tangenziale a Torino a quell’ora è come essere un pilota kamikaze contro la flotta americana all’isola di Okinawa alla fine disperata della guerra mondiale. Un delirio totale. Mancano solo gli elicotteri che sfrecciano sulle teste stile “Apocalipse Now”. Ma riusciamo ad arrivare all’agognata meta.

Ritorniamo caparbi al salone, dove ci aspetta un ragazzone dalla zazzera riccia, occhiali nerd, molto gentile, sembra più uno studente di fisica che un venditore progettista. Davanti abbiamo un bello schermo di plexiglass e un monitor da PC. Gli passo attraverso un interstizio il foglio con le misure del cucinino. E gli ho girato anche un video per mostrargli la desolazione del cucinino vuoto. Perché noi, astutissimi canavesani, prima abbiamo conferito la vecchia cucina alla discarica di Ivrea, tirandocela sul trattorone e sul carro di un amico, rallentando il traffico di via Torino la settimana scorsa, e adesso viviamo intorno ad un microonde posizionato in soggiorno nella tristezza di cibi precotti da riscaldare.

Fatto il progetto “hurwagrem”, il giovanotto ci dice che se andrà tutto bene, ci vorrà un mese per la consegna! Comunque tiro fuori la carta di credito, perché quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a pagare. Ma con quella faccia da studente di fisica fuori corso mi ferma subito: non è così semplice… ci deve fissare un altro appuntamento.

Siccome sarò a Gorizia questo fine settimana, lo fissiamo per martedì prossimo. Ci dice che varrà la pena fare un giro per vedere la cucina scelta. Partiamo fiduciosi al “franzaffen” e ci infiliamo nella “hennelle”, poi svoltiamo a sinistra al zippermajern e però vediamo l’insegna del ristorante “hurdu”.

Mi rendo conto che sono già le 19.45 e io non ho pranzato. Trascino mio figlio al ristorante interno tra un falfullen e un trambionv e li ci sediamo esausti. Guardiamo nel piatto: c’è una purea con marmellata di frutti di bosco e delle polpette e poi del salmone con una salsa verde.

Coraggio, hai voluto la cucina nuova? E allora zitto e mangia!