«Siamo tornati in Italia, a Torino, solo 24 ore prima dell’attacco terroristico all’Ambasciata francese e allo Stato maggiore dell’esercito di Ouagadougou. Nelle settimane precedenti abbiamo trovato un Paese tranquillo e ospitale come sempre, anche se preoccupato per le intensificate incursioni delle milizie jihadiste provenienti dal Mali, che minacciano ora la sicurezza del Nord Ovest, spingendosi fin nella città di Ouahigouya» racconta Michele Vaglio Iori, responsabile gestionale dei progetti CISV nel Paese. «La situazione non era molto diversa da settembre, quando siamo stati lì per un’altra missione: un clima un po’ “sospeso” – posti di blocco presso le principali arterie stradali e controlli all’ingresso dei locali gestiti o frequentati da occidentali e dai benestanti di Ouagadougou – ma nulla che facesse presagire il blitz del 2 marzo».
«In questi giorni difficili siamo solidali con la nostra équipe locale, che sta vivendo in condizioni di allerta, sia a Ouagadougou sia durante i frequenti spostamenti sul territorio» continua Vaglio Iori, ricordando che «CISV si avvale interamente di personale burkinabè, che possiede tutte le competenze tecniche e le capacità per sviluppare i progetti in ambito idrico, agricolo e nutrizionale, e per la promozione dei diritti umani e delle donne».
Malgrado il clima di tensione, il Burkina Faso di tutti i giorni è un modello di accoglienza, e di convivenza pacifica tra etnie e religioni. Come testimonia Saleck, agronomo musulmano che lavora presso il centro risicolo di Mogtedo, nella regione dell’Altopiano centrale: «In tutto il Paese i rapporti tra religioni – islam, cristianesimo, animismo – sono pacifici e improntati al rispetto reciproco. Nelle famiglie convivono atei, musulmani, cattolici e pentecostali, ecc. A livello privato ma anche lavorativo vige la massima tolleranza. Ci sono anche frequenti matrimoni misti, in cui i figli sono lasciati liberi di scegliere quale fede adottare».
L’attacco di venerdì scorso – concluso con 16 morti (di cui 9 assalitori) e una quindicina di feriti – è l’ultimo di una serie che ha puntato a colpire gli occidentali, in particolare l’ex potenza coloniale francese: l’assalto jihadista il 15 gennaio 2016 all’hotel Splendid e al ristorante Cappuccino (30 vittime di cui diversi stranieri) o quello dell’14 agosto 2017 al ristorante Aziz Istanbul di Ouagadougou (18 morti e 21 feriti).
«L’attentato è stato rivendicato da Jnim, sigla per Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani, una coalizione di gruppi jihadisti legata ad Al Qaida, nata nel marzo 2017 per contrastare l’arrivo del Daesh nel Sahel. Diversi e variegati gruppi jihadisti sono cresciuti negli ultimi 15 anni nel nord del Mali e hanno anche influenzato la nascita di un gruppo burkinabè, Ansarul Islam» spiega Marco Bello di CISV, giornalista esperto dell’area. «Jnim, coordinato dal tuareg radicale Iyad ag Ghali, avrebbe realizzato l’attentato come rappresaglia a un attacco, condotto dalle forze militari francesi in Mali il 14 febbraio scorso, in cui hanno perso la vita diversi uomini della coalizione».