(Mario Berardi)
Il voto del 20 e 21 settembre racchiude tre scelte: referendum, regionale, politica. Questo intreccio complica il panorama elettorale e accresce l’incertezza, anche perché si accompagna alle polemiche sulla chiusura delle scuole sedi di seggio, appena riaperte.
Il Governo avrebbe fatto meglio a non cedere ai Governatori delle Regioni coinvolte e a spostare il voto nell’autunno inoltrato.
Referendum. Riguarda la legge costituzionale di riduzione dei parlamentari voluta dai Grillini e approvata quasi all’unanimità dagli altri partiti.
Da molti anni, da Spadolini a De Mita, da D’Alema a Berlusconi si parla di riforme costituzionali, anche con il taglio dei parlamentari; questa è la prima volta che la riduzione diviene legge. Di qui il motivo dei sostenitori del Sì, che annunciano a breve una nuova legge elettorale proporzionale, la modifica della base elettorale del Senato (a 18 anni come per la Camera) e altre misure.
Il fronte del No contesta queste tesi, affermando che il taglio è un fatto episodico, non inquadrato in una generale riforma istituzionale, con aree del Paese non adeguatamente rappresentate e con un risparmio modesto per lo Stato.
Ma la vera novità è il fatto politico intervenuto con le spaccature nei partiti: nell’area di governo si sono schierati contro la riforma l’ex presidente Prodi, l’ex presidente del Pd Cuperlo, lo scrittore Roberto Saviano…, nell’opposizione il numero due della Lega Giorgetti, il presidente della Lombardia Fontana, diversi esponenti di Forza Italia, mentre l’on. Meloni, pur schierata per il sì, ha rilevato che una duplice sconfitta del Governo alle regionali e al referendum lo porterebbe alle dimissioni.
Su questo tema i grandi quotidiani sono molto divisi: per il “Corriere della Sera” il Governo non cadrà perché manca l’alternativa e perché c’è l’urgenza di spendere i 207 miliardi del Recovery Fund; invece per “La Stampa” il governo è a rischio e il voto è un azzardo; “capofila” del no il quotidiano-ammiraglia del nuovo gruppo Gedi (Exxor-Fiat) La Repubblica, che non nasconde le simpatie per un Governo Draghi; risponde “Il Fatto Quotidiano” rilevando che la caduta di Conte condurrebbe a elezioni anticipate con la vittoria del centro-destra a trazione leghista; altri quotidiani segnalano la “prudenza” in questa fase della Lega per le inchieste della procura di Milano su tre commercialisti di fiducia, con un presunto conto segreto in Svizzera. Altri fogli ancora rilevano, nell’ipotesi di sconfitta della maggioranza in entrambi i voti, la possibile esplosione di M5S e Pd, per le contestazioni interne; i Grillini sono sempre più spaccati tra Di Maio e Di Battista, nel Pd il Governatore emiliano Bonaccini punta alla successione di Zingaretti (entrambi provengono dalla Fgci).
Per il voto regionale gli ultimi sondaggi possibili prevedevano la vittoria del centro-sinistra in Campania, la sconfitta in Veneto, Liguria e Marche, mentre sarebbero in bilico Toscana e Puglia (Aosta non elegge il Presidente subito, ma nel Consiglio regionale).
Particolarmente delicata la competizione in Toscana: una parte della sinistra, contraria al Governatore “vicino” a Renzi, svolgerebbe la funzione classica del “fuoco amico” (peraltro Italia Viva fa la stessa cosa in Liguria e Puglia contro Sansa ed Emiliano).
Un elemento importante di valutazione politica sarà anche l’affluenza al voto, soprattutto per il referendum: il sì o il no saranno tanto più importanti se ci sarà vasta adesione (anche se la legge non prevede un quorum e la consultazione sarà valida in ogni caso).
La campagna elettorale non è stata esaltante, schiacciata tra i problemi drammatici della scuola e i timori per la temuta ripresa del Covid-19 (anche se l’Italia sta meglio dei Paesi vicini, dalla Francia alla Spagna); nel dibattito tra i partiti sono emersi troppi tatticismi, senza chiare distinzioni tra le questioni istituzionali e quelle politiche.
Eppure il voto è importante: in passato la sconfitta al referendum o alle regionali ha portato alle dimissioni personaggi come Fanfani (divorzio, 1974), D’Alema (regionali, 2000), Renzi (riforma istituzionale, 2016); questa volta nella valutazione politica dell’esito elettorale ci sarà anche il futuro dei 207 miliardi europei.