La crisi scoppiata nella Lega è politicamente seria e grave e, dopo le Europee, potrebbe “terremotare” il Governo Meloni, con un rimpasto o con la sostituzione dei “salviniani” con i Centristi. Le tesi del generale Vannacci non sono nuove (Mussolini statista, il valore dell’odio, la discriminazione dei fragili e dei diversamente abili…), ma la scelta di Salvini di imporlo capolista nelle cinque circoscrizioni europee conferma la linea di estrema destra del leader del Carroccio, alleato anche con i filonazisti dell’AfD. Dalla tesi originaria di Bossi della secessione del Nord siamo ora di fronte a una posizione euroscettica, nazionalista, tutta rivolta a un triste passato (a cent’anni dall’assassinio di Giacomo Matteotti l’elogio del Duce è francamente provocatorio).

La ribellione interna della Lega è diffusa, dal vertice alla base, dal ministro Giorgetti, numero due del partito, ai capigruppo Molinari e Romeo sino ai fondatori, con il Senatur, del Movimento. Chiedono il primato del territorio, della Padania, rilanciano l’antifascismo, rifiutano le intese con l’estrema destra europea. Alcuni media già ipotizzano la scissione, soprattutto se saranno confermati i sondaggi che vedono la Lega scavalcata da Forza Italia, retrocessa dal 34% delle precedenti europee all’attuale 7%.

La nuova sterzata di Salvini ha particolarmente colpito la premier perché è difficile reggere un ruolo equilibratore in Europa con un vice su posizioni di rottura. Peraltro il leader del Carroccio è noto per i “siluri” ai Governi: dall’esecutivo Conte-Salvini-Di Maio all’esperimento di unità nazionale di Draghi. Per ora la Meloni ha privilegiato la via interna, per contenere erosioni a destra da parte del gen. Vannacci, candidandosi in tutte le circoscrizioni ed escludendo a Bruxelles alleanze con i socialisti, smentendo le precedenti aperture alla presidenza di Ursula von der Leyen. Ma tutti i sondaggi dicono che non c’è a Strasburgo una maggioranza di destra, permanendo determinante l’asse franco-tedesco (il liberale Macron, il socialdemocratico Scholtz).

La scelta della Meloni (“scrivete Giorgia”) sposta l’attenzione dalle indicazioni politiche per Bruxelles (europeismo o nazionalismo, mercato unico o vie locali, politica estera di dialogo o di rottura…) a un referendum di massa sul gradimento dei leader perché quasi tutti i partiti hanno seguito il suo esempio, dalla Schlein a Tajani, dalla Bonino a Calenda. In altre parole una consultazione all’italiana, che non ha riscontri nei 26 Paesi dell’UE. L’Europa resta purtroppo sullo sfondo, il primato appartiene alle irrisolte questioni nei Poli.

Nel centro-destra le riforme istituzionali procedono in un clima di diffidenza con Forza Italia e FdI preoccupati per la riforma Calderoli che danneggerebbe le Regioni del Sud, mentre il Carroccio non intende dare tutti i poteri alla Meloni con il premierato elettivo.

Pd e Grillini, nel centro-sinistra, permangono divisi su molti temi, dalla leadership alla politica estera (con vistose divergenze su Kiev e Gaza anche all’interno dei Dem).

I Centristi confermano due liste concorrenti alle Europee: da un lato l’alleanza “di scopo” tra la radicale Emma Bonino e l’ex premier Matteo Renzi, dall’altro il nuovo binomio Carlo Calenda e l’ex ministra della Famiglia on. Bonetti, “popolare”. Le due formazioni puntano a superare il tetto del 4% per il Parlamento. Ma dopo il voto avranno da scegliere tra l’opzione di “scardinare” il Governo Meloni, sostituendo in Parlamento i “salviniani”, o mantenere l’attuale ondeggiamento tra destra e sinistra, con alleanze variabili.

Emblematico il caso Piemonte con “Azione” a sostegno di Cirio e “Italia Viva” con la Pentenero. Influisce la rottura personale Calenda-Renzi, che sembra ricopiare la sfida Meloni-Schlein.

I temi programmatici e il bene del Paese dovrebbero tuttavia avere la priorità, come avvenne nel ’47 in tempi di “guerra fredda”, con la Costituzione repubblicana varata dall’intesa tra i due “avversari”, De Gasperi e Togliatti.