L’accoppiata Meloni-Schlein, ovvero il modello politico destra-sinistra, sta vacillando per i contrasti emergenti all’interno dei due Poli, ancor prima del voto europeo.
Nel centro-destra la premier ha subìto due rilevanti contestazioni:

• Gianni Letta, già braccio-destro di Berlusconi a Palazzo Chigi, molto vicino alla Famiglia del leader scomparso, ha bocciato la proposta di “premierato elettivo” avanzata dalla Meloni, difendendo contestualmente l’attuale ruolo del Quirinale e, in particolare, l’operato di Sergio Mattarella;

• Matteo Salvini, con il convegno di Firenze dell’estrema destra europea, ha respinto la “svolta pro-Bruxelles” della presidente del Consiglio, dipingendo in modo caricaturale gli attuali leader della UE, a cominciare dalla presidente Ursula von der Leyen, “buona amica” della stessa Meloni. Una differenza abissale nel Governo tra premier e vice. Letta e Salvini, da posizioni opposte, rifiutano l’egemonia di FdI sulla coalizione di governo; in particolare, l’opposizione di una parte considerevole di Forza Italia rende molto problematica l’approvazione alle Camere della riforma istituzionale (anche i Centristi di Renzi hanno preso le distanze, dopo il duro attacco della premier alle amicizie saudite del senatore toscano). Sembra sfumare l’obiettivo di Palazzo Chigi di giungere a un grande partito Conservatore; anzi cresce la spinta alle differenziazioni e alla difesa delle specifiche autonomie di partito; un centro-destra plurale, non un blocco compatto con un solo leader, secondo la proposta del “premierato elettivo”.

Le nette distinzioni di Gianni Letta e Salvini non mettono in pericolo Palazzo Chigi (anche in assenza di alternative), ma riducono lo spazio politico della premier, costretta a una coabitazione di necessità sia con la Lega sia con gli eredi di Berlusconi; l’orologio della politica ritorna indietro al 25 settembre 2022, con la vittoria della nuova maggioranza. La Meloni pensava di intestarsi il risultato, i suoi alleati non hanno alcuna intenzione di rinunciare al loro ruolo, rivendicando una posizione “forte” (in particolare la famiglia Berlusconi non intende dismettere il peso politico dell’impero tv).

Nel centro-sinistra, dopo l’attacco dell’ex ministro Franceschini alla Schlein (“non basta dire no”), il Presidente dei Popolari, Castagnetti, ha proposto un “federatore” per la difficile intesa tra Pd e M5S, evocando un nuovo leader, come Prodi nel ’96, diverso da Conte e dalla stessa segretaria del Pd. Una presa di distanza rilevante dalla Schlein eletta nei “gazebo”, cui ha fatto seguito, nel dibattito interno, una duplice candidatura: la sinistra dem ha proposto il segretario della Cgil, Landini, segnalando sondaggi di opinione a suo favore; la componente riformista ha rilanciato l’ex premier Gentiloni, attuale commissario europeo.

Sia pure in termini diversi, nel centro-sinistra, come nel centro-destra, non passa la linea di una sola persona al comando; il modello americano Trump-Biden non sfonda, prevale lo schema parlamentare su quello presidenziale, come spinte verso il “cancellierato” tedesco.

Alla base della crisi del duopolio Meloni-Schlein c’è la complessità della realtà sociale italiana, non esauribile nella linea teorica destra-sinistra. Sulla politica estera Salvini e Conte sono sostanzialmente vicini nel “neutralismo” filo-moscovita, in politica economica il liberismo di Forza Italia si concilia a fatica con le correnti stataliste in FdI, sulla questione sociale i Popolari del Pd sono lontanissimi dai radicali, ancor più sui temi etici. Due blocchi contrapposti divengono una forzatura istituzionale, mentre i Presidenti della Repubblica Ciampi, Napolitano, Mattarella hanno dimostrato che nei momenti difficili la solidarietà nazionale è un bene da tutelare (lotta alla mafia, sfida al terrorismo, crisi finanziaria, Covid…).

Lo schema bipolare destra-sinistra è stato sostenuto da diversi media come strumento per entrare nella Terza Repubblica, rinunciando “de facto” al ruolo dei partiti, con un parallelo con la governance della grande industria, delle banche… Ma le diversità di valori, la storia, le radici delle forze politiche non si cancellano con un voto.

Dovrebbe maggiormente essere indagata la crescente disaffezione verso le urne, segno di inadeguatezza dell’attuale offerta politica. La crisi dei partiti è reale, ma la Costituzione repubblicana ci ricorda che sono essenziali per la vita democratica. Prima dei leader.