(Mario Berardi)

Navigazione difficile per il Governo Draghi sul piano-vaccinazioni e sui sostegni a famiglie e imprese; tre i nodi da sciogliere: l’Unione Europea, le Regioni, i partiti della coalizione.

UE. Il premier è intervenuto personalmente con la presidente Ursula von der Leyen per denunciare i gravi ritardi nelle consegne dei vaccini e per chiedere maggior fermezza verso le aziende produttrici; ora si sta attivando un canale preferenziale con il nuovo governo Biden, ma i ritardi da colmare sono notevoli; sempre con Bruxelles Draghi gioca una partita altrettanto impegnativa su limiti ai deficit statali; dovrebbero scattare misure più severe nel 2023, dopo la prevista fine della pandemia; ma all’Italia serve più tempo, perché gli attuali sostegni non bastano e le categorie protestano.

Regioni. Continua la crisi nei rapporti con lo Stato, già emersa con il Governo Conte: ora il nuovo esecutivo, forte della recente sentenza della Corte costituzionale, cerca di unificare dall’alto il piano vaccini; resta – più avanti – l’esigenza di modificare il capitolo quinto della Carta sui poteri regionali in materia sanitaria. Al momento permane la grave insufficienza di Abruzzo, Calabria, Sardegna (commissariate dagli Alpini) ed emerge un nuovo scandalo nella Lombardia, con il default del sistema prenotazioni; la vice-presidente della Giunta, Letizia Moratti, e il commissario Bertolaso, entrambi berlusconiani, hanno chiesto e ottenuto la sconfessione della gestione leghista dei vaccini; Salvini ha dovuto arrendersi all’evidenza dei disagi.

Partiti. Nella larga maggioranza che sostiene Draghi è scoppiata apertamente la rivalità tra Salvini e Letta, dal condono fiscale allo ius soli, per non parlare della politica europea, con la Lega, contrario Giorgetti, che tenta di creare un nuovo nucleo conservatore con Ungheresi e Polacchi, ben lontano dalla linea europeista di Draghi. Riusciranno Lega e Pd a reggere due anni insieme, nonostante le diverse “bandierine” identitarie? Secondo alcuni osservatori la frase di Letta sull’eccezionale importanza del voto per il nuovo Capo dello Stato (febbraio 2022), potrebbe indicare un limite più breve al governo di emergenza.

Il nuovo segretario del Pd punta a una semplificazione del quadro politico che prevede due maggioranze opposte: centro-sinistra e centro-destra. Ma il cammino non è semplice perché le due piccole formazioni centriste (Renzi e Calenda) non vogliono allearsi con i Grillini, mentre Letta li definisce essenziali per vincere (i sondaggi li collocano al 16-17%, sopra il 20 nel sud, sotto il 10 nel nord). Per intanto Conte, leader designato alla guida pentastellata, sta preparando le carte bollate contro Davide Casaleggio, patron della piattaforma Rousseau: la questione è finanziaria (sono in ballo centinaia di milioni) ma soprattutto politica perché rinunciando a Rousseau il Movimento diverrebbe un partito tradizionale, senza il richiamo originario alla rivoluzione digitale.

Nel centro-destra sono sempre più difficili i rapporti tra la Meloni e Salvini, con un’aperta sfida sulla leadership nazionale. Ciò produce anche una stasi nella scelta delle candidature per le prossime amministrative d’autunno: Fratelli d’Italia punta tutte le sue carte su Roma e, per questo, tiene ferma la candidatura a Torino di Paolo Damilano, sostenuto apertamente dalla Lega; i berlusconiani, vista l’impasse, sperano ancora sotto la Mole di piazzare l’imprenditrice Porchietto.

Anche per Letta le amministrative si presentano difficili, perché le segreterie locali del Pd puntano i piedi contro una regia nazionale. Su Torino il Pd romano vedrebbe bene un terzo nome dopo Lo Russo e Salizzoni, e soprattutto insiste su un’alleanza generale con il M5S, da Milano a Napoli, da Bologna alla Mole; avvisaglie dello scontro si sono già viste al Senato dove gli ex renziani del Pd hanno difeso il capogruppo uscente Marcucci, accusando Letta di aver chiesto candidature femminili in modo strumentale, per colpire la minoranza interna “ostile” ai Grillini.

In questo contesto politico sempre difficile Draghi accentua il suo ruolo istituzionale, sotto l’ombrello autorevole del Capo dello Stato; il nuovo premier è abituato a gestire i conflitti (come con i tedeschi a Francoforte, alla BCE); ma nel Parlamento, sulle molte leggi da varare, avrà l’esigenza di una maggiore solidarietà dall’arcipelago dei partiti che gli hanno votato la fiducia.