Coltivare, vitalità, complessità: queste le parole chiave costituenti l’oggetto di discussione e confronto del “Festival della Complessità: coltivare la vitalità” che si è svolto al Teatro “Giacosa”. Il Festival è “diffuso”, si tiene cioè in diverse città da maggio a luglio, grazie alla rete nazionale “Dedalo97”, e ha una tappa a Ivrea dal 2013.
Introdotti da Diego Targhetta Dur e Elvira Signaroldi – che, con un pizzico di commozione, ha annunciato dal palco il raggiunto pensionamento -, sono intervenuti illustri ospiti che hanno disquisito in termini non accademici, ma comunicativi e diretti, sui temi della complessità e della vitalità. Ha coordinato l’incontro Silvana Quadrino, che ha sottolineato come l’osservare le reazioni di un paziente anziché intervenire sia proprio della Slow Medicine: concetti già applicati dallo Slow Food nel curare le piante, e ripresi anche nel video, diffuso a livello nazionale, che Carlo Petrini ha dedicato all’evento.
Gian Piero Quaglino, professore ordinario di Psicologia della Formazione, ha introdotto il tema della complessità, in cui l’idea fondamentale è quella della rete: ogni situazione appare interconnessa a molte altre, ogni problema è un insieme di problemi interdipendenti che, per essere affrontati, richiedono l’adozione di un pensiero e una visione sistemici che aprano a soluzioni inaspettate e sorprendenti. Infatti, a volte, le soluzioni creano – paradossalmente – problemi maggiori di quelli cui dovrebbero rispondere; la natura della complessità risulta legata alla teoria del paradosso quando, per cambiare, si conserva ciò che nel cambiamento può o deve rimanere. Per le soluzioni, si ricorre quindi a immaginazione, intuizione, creatività e non a semplice cambiamento.
Tema dell’intervento di Fabrizio Benedetti, ordinario di Neurofisiologia e Fisiologia all’Università di Torino, è stato la “relazione come cura”, come nuovo modo di interazione tra terapeuta e paziente tramite la parola, abbia ottenuto lusinghieri risultati nella cura di alcune patologie trattate con placebo. Viceversa, un’interazione negativa (atteggiamento sbrigativo, aggressivo o poco comprensivo da parte del terapeuta o del personale infermieristico) ha indotto effetti “nocebo”, addirittura dannosi sul paziente, inducendo agitazione e ansia.
Intervistata da Giorgio Bert (fondatore dell’associazione nazionale Slow Medicine) e Roberta Sturaro (infermiera con master di specializzazione all’Università di Pollenzo), Victoria Sweet, ricercatrice alla California University, ha detto di essersi accostata alla filosofia “Slow” grazie ai principi di Slow Food e alle opere di Hildegarde Von Bingen, figura di spicco del XII secolo, madre badessa, filosofa, musicista e medico, che curava i malati con principi da medico-giardiniere, applicando l’osservazione del malato nella sua globalità senza limitarsi al singolo sintomo, favorendo l’auto-guarigione e eliminando ciò che poteva fiaccare la “virilitas”, termine tradotto con “vitalità”.
La Sweet ha usato ripetutamente il termine “meccanico” per indicare il medico che cura gli organi malati come pezzi singoli, che vanno riparati perché il corpo-motore riprenda a funzionare bene. Pur senza tornare al passato, escludendo la cosiddetta “fast medicine” il medico può e deve invece essere meccanico e giardiniere insieme, per avere un duplice punto di vista sul malato che porti a una visione globale della patologia. Nel percorso di guarigione riveste enorme importanza la parola e come viene usata dal medico; spesso, è stato sottolineato, il come rapportarsi con il paziente è un insegnamento dei primo anno di Università, che viene dimenticato prima della laurea.
Anche l’intervento di Marco Bobbio, segretario generale di Slow Medicine, ha posto in risalto il fatto che spesso il modo di relazionarsi del medico con il paziente è vettore di cura, e imparare ad avere un nuovo rapporto con i pazienti è fondamentale.
In ultimo, un ringraziamento particolare meritano le due interpreti del Festival, Consolata Bracco (docente di Inglese a Infermieristica) e Rachel McDonald, per aver l’aiuto fornito per comprendere al meglio l’intervento dell’ospite straniera.
Paola Ghigo