La questione della cittadinanza italiana ai figli di immigrati ha dominato il dibattito politico e sociale della calda estate: un tema di civiltà, di solidarietà, di inclusione sociale, come ha ribadito con forza la Cei, dopo ogni tentativo di strumentalizzazione politica. Dopo le proposte di Pd e M5S sullo “Jus soli” (cittadinanza a chi nasce sul suolo italiano), ha preso consistenza l’iniziativa di Forza Italia per lo “Jus scholae”, ovvero il riconoscimento dopo due cicli scolastici.

L’opposizione ha immediatamente accolto la proposta, la Lega ha minacciato la crisi di governo, sostenuta da Fratelli d’Italia. Il vice-premier Tajani ha assunto una linea ondeggiante: ha difeso l’autonomia dei berlusconiani sui diritti civili, ma ha riconosciuto che il tema non fa parte del programma di governo. Entro il mese un emendamento di Azione (Calenda) a un disegno di legge sui migranti metterà alla prova i forzisti, perché il testo in votazione sarà quello esposto dallo stesso Tajani. Si passerà dalle parole ai fatti, o prevarrà la linea leghista del rinvio? È una questione politica, etica, sociale di grande rilievo, attesa da migliaia di persone.

Il Parlamento ha una grande occasione di riscatto, non operando come semplice cassa di risonanza dei partiti, ma esprimendo il suo ruolo e la sua autonomia. Un “no” renderebbe Montecitorio succube di Salvini e dell’estrema destra e la stessa premier sarebbe trascinata, come nel voto a Bruxelles contro Ursula von der Leyen, in una linea sovranista. In Forza Italia la spinta sulla cittadinanza è venuta dalle pressioni di Marina e Pier Silvio Berlusconi, preoccupati di un appiattimento sulla linea Fratelli d’Italia-Lega, con un ruolo subalterno del centro forzista. Certamente il PPE (di cui Tajani fa parte) non ha nulla in comune con le chiusure del gen. Vannacci e dei nuovi leader del Carroccio.

Altre baruffe nella coalizione di governo sono previste per la definizione della legge di bilancio, sulle pensioni, sulla guerra russo-ucraina, ma sulla cittadinanza la scelta è ormai urgente e indilazionabile. In ogni caso sono emerse differenze politiche di fondo, non più coperte dal mantello del bipolarismo destra-sinistra: Tajani è con gli eredi della Merkel, Salvini è con esponenti che plaudono alla vittoria nella Germania dell’Est dell’estrema destra filo-nazista e pro-Putin. È una mediazione molto difficile, anche per la Meloni.

Nel “campo largo” del centro-sinistra le “spine” per la Schlein si chiamano Conte e Renzi. Il leader dei Pentastellati, contestato da Grillo, non può annacquare l’identità del Movimento: per questo si oppone strenuamente al ritorno di Renzi, definito “camaleonte” e politicamente inaffidabile (il leader di Italia Viva fu il promotore della caduta del governo Conte-bis); per la Schlein la mediazione appare difficilissima, anche per le Regionali a Genova, e presto dovrà scegliere un nuovo percorso, come le suggeriscono D’Alema, Prodi, Rosy Bindi.

L’ex Presidente del Pd, figura di spicco del cattolicesimo democratico, ha chiesto in particolare una correzione di rotta alla segretaria sui temi etici e sulla questione della pace. In realtà l’apertura della Schlein a Renzi ha denotato una preoccupazione per il ruolo dei “moderati”, ma la questione si risolve con accordi di vertice o con l’elaborazione di un programma che risponda alle richieste di pluralismo presenti nella società italiana?

Cammina invece con le sue gambe la campagna referendaria sulla legge Calderoli (autonomia regionale differenziata): le firme raccolte sono già ben oltre le 500mila previste dalla legge. La maggioranza di Governo è preoccupata e la stessa Meloni ha chiesto ai governatori leghisti di non forzare sull’interpretazione delle norme, aspettando il varo dei Lep (livelli essenziali di prestazione), ovvero due anni. Questo “attendismo” non esclude l’ipotesi estrema: elezioni anticipate in estate prossima per rinviare il referendum, specie se crescerà nel Sud l’opposizione alla Calderoli, anche da parte dei Forzisti. Un’Italia spaccata in due è un incubo per Palazzo Chigi.

I due Poli sono infine divisi sul prossimo Presidente degli Stati Uniti: Salvini pro-Trump, la Schlein con Kamala Harris, Meloni e Conte neutrali. La politica estera non è più un elemento unificante degli schieramenti e il contrasto destra-sinistra è più teorico che effettivo, le due sponde dell’Atlantico appaiono lontane, mentre vicinissime sono le due guerre nel cuore dell’Europa e nella Terra di Cristo. Il Vecchio Continente e le stesse Nazioni non riescono a definire un percorso di pace valido e giusto.