(Cristina Terribili)

Quando un ragazzino si suicida dovremmo tutti provare un senso di disagio, di frustrazione, di sconfitta e chiederci dove eravamo, da cosa eravamo distratti, del perché il nostro millantato sostegno non abbia funzionato. L’Associazione Italiana Di-slessia, in un comunicato, dice che nessuno deve sentirsi assolto in questo dramma, che la comunità educante di cui ognuno di noi fa parte, è responsabile di quello che accade dentro e fuori la scuola, per strada o nel giardinetto. Dice che non possiamo fare il giochetto delle tre scimmie che non sentono, non vedono e non parlano.

Di fronte ad ogni ragazzo che perde la vita, la dignità, la fiducia in se stesso, la speranza in un mondo migliore, ci siamo noi che abbiamo fatto i bulli, che abbiamo guardato senza vedere, non abbiamo proferito parola, dicendo che non ci riguardava, non possiamo farci niente, non tocca a noi prendere provvedimenti….

Daniele Fedeli, docente di Pedagogia Speciale all’Università di Udine, ricorda al corpo docente il potere di cui dispone, e come questo possa condurre l’altro, soprattutto uno studente, verso lo sviluppo di una passione o verso il di-sprezzo di una materia o peggio ancora, di se stesso. Dobbiamo essere insegnanti di tutti, anche di chi fa fatica a comprendere o si distrae o tira i cartoccetti o chiede ogni cinque minuti di poter andare in bagno.

Ogni forma di bullismo è esecrabile. Forse lo è ancora di più quando è un adulto a commettere atti di bullismo, di violenza, nei confronti di un bambino o di un giovane. Rischiamo di non sconfiggere la piaga della violenza se, chi è deputato a contenerla e a trovare forme di risoluzione non violenta dei conflitti, cova in sé attitudini sadiche, incapace di trasformare le proprie frustrazioni in risorse virtuose.

Gli studi sul bullismo si sono spesso concentrati sulle vittime, sul gruppo dei gregari e troppo poco sulla figura del bullo. Gli interventi contro gli atti di bullismo all’interno ed all’esterno della scuola si concentrano sulla riparazione e troppo poco sulla prevenzione, forse perché la prevenzione richiede una profonda analisi di quanto si è disposti ad un cambiamento radicale che parte dal basso, dall’ascolto, dalla creazione di un contesto di fiducia e di protezione, che ci obbliga a prendere misure disciplinari serie e severe, che non si limita al mero gioco delle tre carte, dove vengono abilmente spostati gli elementi che, però, rimangono sempre gli stessi.

La giornata contro il bullismo e cyberbullismo appena passata, non deve essere e rimanere l’unica ricorrenza in cui si pone una luce su un fenomeno che continua una inesorabile crescita, ma che si chiude con tanti buoni propositi mai portati a termine. Ogni scuola, ogni parco giochi, ogni campo sportivo dovrebbe essere un luogo “anti bullo”. E ciascuno di noi è chiamato a denunciare il bullismo a chi può fare qualcosa affinché la spirale di violenza si interrompa.

Di fronte ad una vita spezzata non possiamo addurre giustificazioni, poiché quando accade è sempre una volta di troppo. Troppe volte pensiamo che poi passerà, che le vittime sapranno trovare da sole un modo per uscirne, in seno alla famiglia e con un sostegno psicologico.

Abbiamo dato una mano, abbiamo porto l’orecchio per offrire aiuto e protezione? Nei molti casi che purtroppo si susseguono, la giustizia farà il suo corso, nel frattempo non perdiamo l’opportunità di ristabilire una rete di supporto dell’uno verso l’altro, sinergica, complementare, dove il rispetto e la dignità dell’altro sono al primo posto sempre, comunque e per chiunque.