L’irrigazione della pianura piemontese era garantita, fino alla metà del XIX secolo, da tre opere idrauliche che derivavano le acque dalla Dora Baltea: il canale del Rotto, voluto da Giovanni del Monferrato tra la fine del 1300 e l’inizio del 1400 per irrigare le terre dell’abbazia di Santa Maria di Lucedio, il Naviglio di Ivrea, fatto costruire a partire dal 1468 da Jolanda di Valois, moglie del Duca Amedeo IX di Savoia, e il canale di Cigliano (poi Depretis), fatto costruire da Vittorio Amedeo III e attivo dal 1785. La portata di questi canali era sufficiente per l’irrigazione della pianura vercellese e alto novarese, ma fu la costruzione del canale Cavour a garantire la fornitura capillare delle acque di irrigazione al vasto territorio compreso tra i fiumi Po, Dora Baltea e Ticino.
L’imbocco del canale è situato a Chivasso, sulla sponda sinistra del Po; l’edificio di presa, largo 40 metri, è diviso in 21 luci contenenti tre ordini di paratoie, due utilizzate per il normale servizio di regolazione delle acque ed una terza sussidiaria, la cui movimentazione è garantita da appositi meccanismi, ora elettrificati, azionabili in una galleria coperta. Il canale, nei pressi di Saluggia, sovrappassa la Dora Baltea su di un ponte canale, ne riceve l’apporto idrico tramite il Canale Farini e attraversa la pianura vercellese; superati i torrenti Elvo e Cervo e il fiume Sesia, entra in provincia di Novara dove riceve le acque del diramatore Alto Novarese e del canale Regina Elena.
Oltrepassato il torrente Terdoppio, si getta nel Ticino nei pressi del Comune di Galliate, dopo 85 chilometri.
La costruzione del canale Cavour fu dettata dalla necessità di condurre le acque nei territori del Basso Novarese e della Lomellina che soffrivano delle magre estive del fiume Sesia. Dopo aver tentato di aumentare la portata del Canale di Cigliano per alimentare il Sesia fino alla presa del Roggione di Sartirana, la soluzione arrivò grazie alla felice intuizione di un agrimensore, Francesco Rossi. Nato a Scavarda il 21 dicembre 1794, abbandonò gli studi per dedicarsi all’agricoltura.
Assunse l’incarico di agente generale del Marchese Michele Benso per la tenuta di Leri e lo mantenne fino al 1835, quando il Conte Camillo subentrò al padre nella conduzione dei terreni. Suo figlio Antonio scrisse: “tra costui e mio padre scadeva qualche differenza, a cagione delle loro disparate opinioni sul miglior modo di coltivare quelle terre”. Il Rossi, pertanto, si mise in proprio, coltivando alcuni terreni del Capitolo Metropolitano di Vercelli. Intorno al 1842, egli maturò l’idea di derivare un canale dal fiume Po, poiché ipotizzava che vi fosse un dislivello tra il Po ed il Sesia e per provarlo esplorò il territorio fra i due fiumi per misurare le pendenze con una livella ad acqua, “egli solo, umile pellegrino, schernito quale pazzerello dalla plebaglia saccente ed ignorante, si vide perlustrare quelle regioni con l’unica compagnia di un servo, ed ora meriggiare sotto un albero, ora dissetarsi ad una fonte, ora pernottare in una catapecchia”.
Grazie ai rilievi, riuscì a dimostrare che il livello del Po era superiore di circa 25 metri rispetto a quello del Sesia e sviluppò l’idea di un canale che derivasse acqua nelle immediate prossimità della confluenza del Po con la Dora Baltea, procedesse verso est attraversando la tenuta di Leri, superasse l’Elvo, il Cervo, il Sesia fino a gettarsi nel Ticino nei pressi di Trecate, per una lunghezza di 70 chilometri. Il suo progetto, sottoposto per il tramite del Ministro Thaon di Revel all’esame di Carlo Noè, allora direttore dei canali del Vercellese, ebbe il plauso del Congresso agrario di Mortara del 1846.
L’iter progettuale subì un rallentamento a causa della sconfitta dell’esercito Piemontese nella battaglia di Novara; inoltre, il Rossi subì il sequestro di una grossa quantità di riso e ciò lo ridusse in miseria. Presentò una petizione alla Camera dei Deputati ma ottenne solo un compenso di 1.500 lire per il lavoro svolto. E, forse, il Conte Camillo, allora deputato del Regno, fece pressione affinché il progetto, che avrebbe tagliato in due la sua tenuta di Leri, non fosse mai avviato.
Nel 1852, Cavour, allora Ministro delle Finanze, dichiarò inattuabile il progetto del Rossi e affidò l’incarico di redigerne un altro all’ingegner Carlo Noè, che nel 1859 dispose l’allagamento del territorio tra la Dora Baltea e il Sesia per fermare l’avanzata dell’esercito austriaco. Nel 1862 fu approvata la legge riguardante la “concessione per la costruzione di un canale d’irrigazione da derivarsi dal Po a Chivasso” e, nello stesso anno, fu costituita la Compagnia dei Canali d’Irrigazione Italiani, società anonima autorizzata ad attuarne la realizzazione. I lavori iniziarono nel 1863; nonostante la complessità dell’opera, legata soprattutto all’elevato numero dei manufatti da realizzare (101 ponti, 210 tombe sifone e 62 ponti canale), essa fu portata a termine nel 1866.
Fu inaugurata il 12 aprile di quell’anno, alla presenza del Principe Eugenio di Savoia Carignano il quale “dato di piglio ad una manovella, mosse il primo giro e, aperte le bocche, l’acqua si precipitò fragorosa nel nuovo sbocco apertole, fra il raddoppiare delle grida di gioia e lo sparo dei mortaretti”. Ma i successi del canale non furono immediati: mancavano i diramatori che furono realizzati solo negli anni successivi. Inoltre, si erano presto manifestati i limiti della presa d’acqua dal Po che soffriva di importanti magre estive; così, nel 1868, fu realizzato il Canale sussidiario Farini che prelevava le acque della Dora Baltea, abbondanti nel periodo estivo, e le convogliava nel canale nei pressi di Saluggia.
Francesco Rossi, che nel 1852 accettò l’incarico di economo della Regia Mandria di Chivasso, si spense a Torino il 15 febbraio 1858; il Conte Camillo morì a Torino il 6 giugno 1861. I protagonisti dell’impresa sono ricordati nella targa collocata all’imbocco della galleria coperta dell’edificio di presa, a Chivasso. Il monumento nella piazzetta adiacente raffigura Carlo Noè.