Oggi è il 321° giorno dell’anno e proprio in questo giorno, il 17 novembre del 1869, venne inaugurato il canale di Suez, progettato da Luigi Negrelli, un italiano trentino di cittadinanza austriaca che diede al mondo un’opera ingegneristica tra le più grandiose della storia. In Egitto il canale permette, con una navigazione di soli 116 chilometri, di raggiungere il Mar Mediterraneo dal Mar Rosso senza circumnavigare l’Africa. Per celebrare l’evento, Giuseppe Verdi compose l’Aida su commissione del governo egiziano.
Uno degli effetti secondari fu che i pesci del Mar Rosso entrarono così nel Mediterraneo, ed è da allora che in Europa arrivarono i pesci rossi che tutt’oggi egemonizzano gli acquari domestici. I produttori di acquari videro in questa “invasione” anche i pesci palla e si ispirarono alla loro forma per costruire gli acquari di vetro. Anche i tradizionali premi in palio nelle fiere e nelle sagre cambiarono: sparirono gli alberi della cuccagna con i salami appesi in cima e al loro posto nacquero dei baracconi da fiera che avevano dei tavoli ricoperti di bocce di vetro contenente appunto dei pesci rossi. Con 100 lire si avevano tre palline da ping pong e bisognava lanciarle per fare canestro.
Centrandone una, si vinceva il pesce rosso che c’era dentro, ma dopo i primi istanti di felicità si capiva immediatamente che si sarebbe passato il resto della festa con un sacchetto di plastica trasparente, pieno d’acqua con il pesce rosso, in mano: non lo si poteva posare per nessuna ragione, perché l’acqua sarebbe tragicamente uscita. Quindi si girava tra baracconi nell’effimera speranza di incontrare un conoscente o un familiare a cui affibbiare il sacchetto.
Non che l’impiccio si esaurisse lì. Una volta a casa c’era bisogno del mangime e del ricambio dell’acqua ogni tre o quattro giorni altrimenti l’acqua sarebbe diventata torbida e il pesce sarebbe venuto a galla per respirare ossigeno. Oltre al mangime sorsero imprenditori spregiudicati che non esitarono a proporre i fondali “marini” di plastica, per abbellire i fondali del piccolo acquario domestico con relitti di velieri, casse del tesoro, rovine tipo “Atlantide”, anfore e altri ammennicoli. Inoltre l’acquario a boccia di vetro con il suo effetto di lente d’ingrandimento faceva sembrare il pesce rosso molto più grande di quello che era: di ciò ci si rendeva conto quando lo si pescava con un piccolo retino per cambiare l’acqua e pulire la boccia. In quei tempi il cantautore Battiato scriveva “L’era del cinghiale bianco”, famosa metafora del pesce rosso.
Il dominio del pesce rosso si espandeva sempre più conquistando tutta la rete ferroviaria italiana: non c’era fontana di stazione, anche quella più remota, che non avesse i suoi pesci rossi che qui invece diventavano grossi per davvero. C’erano pesci rossi ovunque. Gli effetti nefasti di questa presenza ebbero gravi conseguenze sulla salute dei cittadini: ben presto nacque la “sindrome del pesce rosso”, tipica di quelle circostanze in cui uno si sente osservato. Forse anche per ovviarvi che il Parlamento sancì la legge sulla privacy, la Legge 675/96, per limitare l’evenienza di essere costantemente tenuti sotto controllo da una quantità di occhi e di orecchie, pubblici e privati.
Ma le cose peggiorarono comunque: nel frattempo era nata internet, in confronto alla cui capacità di rastrellare dati e informazioni personali senza che noi ce ne accorgiamo o ci badiamo, la “sindrome del pesce rosso” fa davvero sorridere. Gasp!