Citando don Sturzo sull’importanza primaria della politica estera, per la prima volta in due anni l’autorevole “Corriere della Sera” ha ipotizzato venti di crisi sul Governo Meloni, nei prossimi mesi. Col suo voto contrario a Ursula von der Leyen, la premier si è collocata con l’estrema destra dei “Patrioti” di Marine Le Pen e con l’estrema sinistra di Fratojanni (unita con i Pentastellati). Mai un Governo italiano si era posto all’opposizione di Bruxelles, lontano dalla maggioranza politica che regge l’Esecutivo (Popolari, Socialisti, Liberali, Verdi).

Molti commentatori avevano “profetizzato” un’astensione di Fratelli d’Italia, ma al momento della scelta la Meloni ha optato per il partito, per la Destra, timorosa di lasciare spazi a Salvini. In questo modo è apparsa ancora più netta la spaccatura nella maggioranza con Forza Italia di Tajani (europeista e atlantista), mentre la Lega e Fratelli d’Italia hanno difeso Orban e le sue missioni autonome “pro Putin”. Dall’Ucraina al Medio Oriente, dalla Nato al sovranismo, Salvini si differenzia su tutto e non basterà una verifica di maggioranza a risolvere profondi dissensi programmatici e politici. Il leader della Lega, che ha preannunciato per l’annuale incontro di Pontida un programma contro “l’invasione mussulmana dell’Europa”, si conferma critico con tutti i premier: ieri Conte e Draghi, oggi la Meloni.

In queste condizioni sarà più difficile la mediazione della Presidente del Consiglio tra i suoi due vice, anche perché da Forza Italia cresce la sollecitazione a Tajani per una linea più ferma; in un incontro con Gianni Letta e i due figli “politici” di Berlusconi (Marina e Pier Silvio), il vice-premier ha percepito una critica crescente verso Salvini e la Meloni, con una propensione verso il centro della politica, ritenuto “sguarnito”. In altre parole i grandi finanziatori di Forza Italia intendono smarcarsi dalle posizioni di destra, alla ricerca di un nuovo ruolo.

Anche sulle riforme istituzionali c’è discussione: i Forzisti del Sud sono schierati contro l’autonomia regionale differenziata di Calderoli, mentre la Lega mette paletti alla proposta Meloni del premierato elettivo (d’intesa, su questo, con Forza Italia). In altre parole cresce la “concorrenza” interna fra i tre partiti della coalizione, in un quadro europeo che vede il Governo Meloni ai margini.

Sul fronte del centrosinistra, mentre cresce la raccolta di firme per i referendum (le autonomie regionali e le leggi sul lavoro), la novità è il cambio di scenario ideato da parte di Matteo Renzi: fallita l’intesa europea con la Bonino, l’ex premier (valutato nei sondaggi al 2%), ha trovato l’accordo con la Schlein, nonostante il dissenso di Conte e Calenda, con una parte di “Italia viva” (Marattin) che insiste per la ricostituzione del Terzo Polo, con nuovi leader.

C’è movimento nell’aria moderata e riformista, come emerge anche dalla dura critica dell’onorevole Gianfranco Morgando, primo segretario del Pd piemontese, all’attuale linea del partito. In un’intervista a “La Stampa”, l’autorevole esponente dei Popolari ha chiesto che “il Pd non si appiattisca a sinistra e riconosca la cultura cattolica”; in particolare Morgando commenta l’indicazione del sondaggista del “Corriere”: “Pagnoncelli mette in evidenza che il 58% di chi va a Messa ogni domenica non è andato alle urne. Perché non vogliono votare a destra, ma non si riconoscono neanche nelle forze progressiste, nonostante le consonanze su temi come giustizia e solidarietà. Un Pd troppo a sinistra non può agganciarli. Ma il problema è l’elaborazione di un concreto progetto riformista”.

L’ex sottosegretario pone l’accento su un tema centrale: il limite di un programma fatto solo di “diritti individuali”, mentre c’è un tema di diritti sociali ed economici che non può essere affrontato in modo parziale. Morgando infine sottolinea il successo delle Settimane sociali dei cattolici a Trieste, con parole cruciali sulla nostra contemporaneità, rimarcando in particolare la tensione positiva nel mondo cattolico piemontese ad essere “protagonisti del futuro”.

In concreto a destra, al centro e a sinistra, si è riaperto il dibattito politico-programmatico, smentendo chi (Franceschini) vedeva 5 anni di stazionarietà. Il peso immenso delle tragedie delle guerre, il rilievo delle responsabilità dell’Europa e dell’Italia in un contesto internazionale così frantumato (anche dopo il ritiro di Biden) sollecitano attenzioni nuove, con minor spazio ai personalismi e maggiore attenzione alla politica come “servizio al Paese”.

Non è senza significato che lo statista più apprezzato continui ad essere Sergio Mattarella, erede della grande cultura sturziana.